Stop a colloqui e pacchi, così il boom
affari in carcere dell'agente infedele

Stop a colloqui e pacchi, così il boom affari in carcere dell'agente infedele
di Mary Liguori
Giovedì 2 Aprile 2020, 08:20
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La casa di reclusione di Aversa, dove sul portone d’ingresso ancora si legge «ospedale psichiatrico», benché qui di internati per insanità mentale non ce ne siano da anni, ospita 200 detenuti tra fine pena e delinquenti abituali con l’obbligo di casa lavoro. È l’ex «manicomio criminale» dal quale il boss Raffaele Cutolo scappò, armi in pugno, nel febbraio del 1978 ispirando la celeberrima scena «da cinematografo» diretta nel 1986 da Giuseppe Tornatore. Un istituto che oggi sembra un’isola felice, che è «tranquillo» rispetto alle grandi carceri campane, eppure che non è rimasto immune, lo scorso 9 marzo, alle rivolte che hanno messo in subbuglio i penitenziari di tutta Italia. Forse proprio perché meno affollato e lontano dalle problematiche delle grandi carceri, il «Saporito» era diventato il terreno fertile per una serie di illeciti commessi da una presunta divisa infedele, Ferdinando Ferrara, un agente di polizia penitenziaria che, secondo l’indagine condotta dai suoi stessi colleghi, si sarebbe messo «a disposizione» di alcuni detenuti e, in cambio di soldi, avrebbe fatto per loro da «messo». 
 
In primis, ritiene la Procura di Napoli Nord, diretta da Francesco Greco, avrebbe consentito ad almeno cinque reclusi di fare uso di telefoni cellulari in cella. E poi, sempre secondo i pm, fuori dal carcere se ne andava in giro a promettere «raccomandazioni» per il concorso d’accesso alla polizia penitenziaria. Infine, avrebbe rivelato a terzi il contenuto di indagini in corso e sottoposte a segreto. Il tutto sempre in cambio di soldi. Per questo, il giovane poliziotto residente a Trentola Ducenta risponde di corruzione, traffico di influenze illecite e rivelazione di segreto d’ufficio. L’agente è stato bloccato ieri mattina, a fine turno, dai suoi stessi colleghi, gli uomini della polizia penitenziaria interna (in organico ad Aversa ce ne sono 120), con a capo il commissario Francesco Serpico, e gli agenti del nucleo investigativo regionale della Polpen. 
 
L’inchiesta è scattata dopo che, nei mesi scorsi, nelle celle di alcuni detenuti sono stati trovati dei microcellulari, piccoli telefonini che più volte reclusi e familiari cercano di introdurre in carcere nascondendoli nele parti intime. Dopo aver trovato i microcellulari, la polizia penitenziaria ha fatto partire l’indagine e messo sotto controllo il 29enne che è stato a lungo intercettato. Si è così scoperto che il suo «prezzo» era di appena 500 euro. Pochi soldi per fare il doppio gioco e permettere ai detenuti di continuare ad avere contatti con l’esterno. È chiaro che una figura del genere, in un momento in cui i colloqui nelle carceri sono sospesi da un mese ed è vietata da una settimana anche la consegna dei pacchi, poteva diventare fondamentale per i detenuti del Saporito. Per questa ragione, benché l’indagine sia tutt’altro che conclusa, il poliziotto è stato arrestato il prima possibile mentre sono indagati a piede libero una serie di soggetti che, nel corso delle indagini, è emerso aver avuto comportamenti illeciti. Tra loro non ci sono altri agenti di polizia penitenziaria.
 
Non risponde di cessione di droga l’agente arrestato e finito ai domiciliari, ma nel corso dell’inchiesta è emerso che alcuni detenuti del Saporito facevano regolarmente uso di stupefacenti. Su questo aspetto sono ancora in corso delle indagini che chiariranno in che modo gli ospiti della casa di reclusione riuscivano a maneggiare droga e a farne uso. L’inchiesta, durata alcuni mesi, continua, dunque, e a breve potrebbero esserci a