Fango sull'anticamorra,
liberi dopo quattro mesi

Fango sull'anticamorra, liberi dopo quattro mesi
di Marilù Musto
Venerdì 31 Maggio 2019, 09:35
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Da vittime di camorra a imprenditori legati al clan, il «salto» era stato sancito il 15 gennaio dai giudici del tribunale di Napoli che avevano prima firmato l'arresto dei fratelli Antonio e Nicola Diana della Erreplast, azienda leader nel settore del riciclo della plastica, e poi avevano confermato (Riesame, decima sezione) l'ordinanza cautelare. Ieri, la Corte Suprema di Cassazione ha intrecciato gli atti giudiziari provenienti da Napoli in un unico filo e ha bocciato tutto: annullata senza rinvio l'ordinanza di custodia cautelare per Antonio e Nicola Diana, i due figli di Mario, l'imprenditore di Casapesenna che osò denunciare il clan dei Casalesi e per questo fu ucciso. Era il 26 giugno del 1985. Trentaquattro anni dopo, i gemelli Antonio e Nicola ottengono la libertà dopo quattro mesi di arresti domiciliari. Dovranno difendersi dall'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa davanti ai magistrati del tribunale di Santa Maria Capua Vetere. Rito immediato per loro.

LA DECISIONE
Ma l'annullamento senza rinvio della decisione del Riesame, presidente Elena Valente, a latere Picciotti e Pandolfi (che avevano confermato l'ordinanza firmata dal gip Maria Luisa Miranda) dice molto: le esigenze cautelari non c'erano e, ora, bisognerà aspettare il deposito della motivazione della relatrice Maria Sabina Vigna della sesta sezione di piazza Cavour per capire se la Cassazione ha scritto anche altro. A sostenere la tesi della carenza di esigenze cautelari (e di indizi) sono stati gli avvocati Carlo De Stavola, Elisabetta Carfora e Claudio Botti. Annullata anche l'ordinanza per lo zio, Armando Diana, già liberato dal gip e difeso dall'avvocato Giuseppe Stellato e dal professore Giovanni Aricò. I legali avevano chiesto agli ermellini di entrare nel merito. Eppure, per la Procura di Napoli - pm Alessandro D'Alessio e Maurizio Giordano, aggiunto Luigi Frunzio - i Diana sono considerati imprenditori della zona «grigia», capaci di dissimulare la loro vicinanza alla camorra grazie al «marchio» di vittime.

 

I COLLABORATORI
Una sintesi venuta a galla leggendo le dichiarazioni accusatorie dei collaboratori di giustizia: da Massimiliano Caterino a Orlando Lucariello, da Giuseppe Misso a Riccardo Di Grazia, tutti del clan dei Casalesi. Fino al primogenito di Francesco Schiavone «Sandokan», Nicola e Antonio Iovine conosciuto come «o'ninno». E pensare che quest'ultimo fu il killer del padre dei Diana. Nel processo per la morte di Mario Diana, i fratelli gemelli si erano costituiti parte civile contro «o'ninno». Ora, nella sua nuova veste di pentito, l'ex boss Iovine ha puntato il dito contro la vittima. «Era tra quegli imprenditori che ci sostenevano economicamente - ha spiegato ai pm della Dda nei verbali - in cambio dell'appoggio del clan a far conseguire loro lavori». Iovine, in verità, all'epoca del delitto Diana aveva 20 anni e nessun ruolo decisionale. Ma il suo racconto è stato ritenuto credibile.
LA STORIA
Imprenditori insospettabili, i Diana. Antonio era stato anche vicepresidente di Confidustria Caserta negli anni scorsi e attraverso la Fondazione «Mario Diana» aveva finanziato progetti legati al riciclo di materiali.
Di questo si occupa la Erreplast, «gioiello» industriale di famiglia, una delle poche aziende in Campania che ricicla plastica. Ma sui fratelli imprenditori ora pesano le accuse della Procura diretta da Giovanni Melillo secondo la quale i Diana hanno fatto dell'anticamorra uno schermo. Il gip Miranda ha ritienuto che tra Casalesi e i Diana ci fosse «reciproca convenienza». In sostanza, quei 30mila euro che i Diana avrebbero consegnato ogni anno a Natale, dal 2003 al 2009, non erano visti come una dazione di estorsione, come aveva denunciato Antonio Diana nel 2009, ma una quota di parte che «finiva nella cassa comune». Ed evitava «bussate» da altre cosche, noie da mettere in conto, visto che i Diana fanno impresa ad alti livelli. La Erreplast, stando ai pentiti, attirò gli appetiti dei Russo a Gricignano d'Aversa, appetiti spenti dal «socio» Zagaria in persona, secondo i collaboratori di giustizia. Perchè i Diana erano «cosa sua», stando al racconto. Una trama che la difesa cercherà di smontare nel processo.
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