Delitto Katia Tondi, condanna bis
per il marito: 27 anni di carcere

Delitto Katia Tondi, condanna bis per il marito: 27 anni di carcere
di Biagio Salvati
Sabato 26 Giugno 2021, 12:00
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Doccia fredda per Emilio Lavoretano, l'ex gommista di Santa Maria Capua Vetere che, nel pomeriggio di ieri, ha appreso nella cella del carcere - dove è detenuto da un anno mezzo - della conferma della condanna a 27 anni di reclusione per il delitto della moglie Katia Tondi, la giovane mamma di 31 anni trovata strangolata nell'appartamento coniugale di San Tammaro il 20 luglio del 2013. I giudici della Corte di Appello (presidente Maria Alaia) non si sono spostati dalla decisione della Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere, nonostante l'acquisizione di una perizia fatta mettere agli atti dall'avvocato Carlo De Stavola, difensore di Lavoretano in secondo grado. Anche il Procuratore generale, Raffaele Marino, a conclusione della sua requisitoria durante la precedente udienza aveva chiesto la conferma della stessa condanna, parlando però anche di indagini non condotte adeguatamente ma con una colpevolezza evidente.

Condanna chiesta anche dall'avvocato Gianluca Giordano che rappresenta i familiari della vittima con la collega Rosanna Santoro.

Lavoretano era stato condannato dalla Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere a 27 anni di carcere (il pm però ne aveva chiesti 25). L'ex gommista fu condannato dopo 71 udienze in Corte di Assise e a distanza di sei anni e mezzo dal delitto. Dopo qualche giorno, nel gennaio del 2020, per lui si aprirono anche le porte del carcere. Quello di Katia Tondi è stato un omicidio commesso nel più totale silenzio, senza essere accompagnato da litigi, grida o trambusti tanto da non destare nemmeno l'attenzione di due cani Pincher di proprietà di una vicina di casa (anche lei sentita in aula nel corso del dibattimento) che solitamente abbaiavano al minimo rumore e, quindi, apparentemente premeditato. Secondo l'accusa e la relazione dei periti, Katia Tondi sarebbe stata strangolata (mai trovato l'oggetto utilizzato per ucciderla) tra le 18 e le 19 del 20 luglio, in un arco temporale, in cui - secondo l'accusa - Lavoretano era in casa e avrebbe ucciso d'impeto la moglie. Nel corso del lungo dibattimento sono stati tanti gli scontri tra accusa e difesa e molti contrasti sono emersi nonostante l'intervento di periti e consulenti e superperiti.

Lo scorso anno per Lavoretano si pronunciò anche la Cassazione in relazione ad una istanza di scarcerazione negata dal Tribunale del Riesame, decisione confermata dagli ermellini. Nella loro motivazione, i giudici della Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere hanno anche motivato quel delitto definito d'impeto: la Procura in un primo momento aveva imboccato il movente dell'amante, eventuali relazioni dell'uomo però mai trovate. Da qui si è passati al movente della gelosia basate sulle dichiarazioni della madre della vittima. Lui sarebbe stato geloso della moglie ma anche da questa pista si è passati alla strada dell'attrito tra la vittima e la madre di Lavoretano. Circostanze però condite da molte contraddizioni come ha sostenuto la difesa in aula per lungo tempo. Tra gli elementi che hanno probabilmente pesato sulla decisione della Corte, la consulenza, richiesta dalla Procura, dell'ex generale del Ris dei carabinieri Luciano Garofano. Dal processo penale è nato anche un procedimento davanti al tribunale per i minori per l'affidamento dell'unico figlio della coppia che vive con i nonni paterni. 

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