Pestaggi, detenuto morto il Riesame
conferma: «Non fu un omicidio»

Pestaggi, detenuto morto il Riesame conferma: «Non fu un omicidio»
di Mary Liguori
Venerdì 4 Marzo 2022, 08:22
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Da un lato il «no» all'aggravamento cautelare per i dirigenti di polizia penitenziaria sotto inchiesta per i pestaggi del 6 aprile del 2020, dall'altro la conferma, dal punto di vista del Riesame, che la morte di Hakine Lamine, deceduto un mese dopo le violenze, non fu cagionata dalle torture patite in cella di isolamento. E, quindi, non può essere imputata agli indagati. Il tribunale della Libertà di Napoli ha respinto il ricorso della Procura di Santa Maria Capua Vetere che chiedeva misure cautelare più dure per una parte degli indagati.

Si tratta dell'ex provveditore Antonio Fullone (difeso dall'avvocato Claudio Botti), degli ex vicedirettori del carcere di Santa Maria Capua Vetere Maria Parente (avvocati Fabio Fulgeri e Lia Colizzi) e Arturo Rubino, dei dirigenti di polizia penitenziaria Anna Rita Costanzo (avvocato Vittorio Giaquinto), Gaetano Manganelli (avvocato Giuseppe Stellato), Pasquale Colucci, e dell'ispettore Massimo Ciccone, dei poliziotti Domenico Pascariello e Flavio Fattore (tutti difesi dall'avvocato Carlo De Stavola), del sostituto commissario Raffaele Piccolo (avvocati De Stavola e Angelo Raucci) e, ancora, di Roberta Maietta, Salvatote Parisi, Attilio Della Ratta, Crescenzo Carputo, Biagio Braccio, Maurizio Soma e Raffaele Stellato.


A fine mese scadranno le misure interdittive di otto mesi disposte in fase di indagine preliminare per alcuni degli indagati, tra i quali Antonio Fullone, fino al luglio scorso a capo del Dap Campania. L'ex provveditore probabilmente non potrà comunque tornare al lavoro in quanto l'amministrazione ha disposto per tutti gli indagati una sospensione sine die.

Sono due, come detto, i ricorsi respinti dall'ottava sezione penale del collegio F del tribunale del Riesame di Napoli (presidente Antonio Pepe, giudici Maria Vittoria Foschini e Chiara Di Benedetto).

Il secondo riguarda il caso della morte di Hakine Lamine, il detenuto nordafricano picchiato il 6 aprile 2020 e accusato dagli agenti violenti di avere guidato la rivolta del giorno dopo (vicenda falsa come provano i video) poi costretto a diversi giorni di isolamento e deceduto, trenta giorni dopo, per avere assunto farmaci senza controllo. Per la Procura, la morte di Lamine è stata cagionata dai traumi subiti il 6 aprile precedente: non aveva, sostiene l'accusa, controllo su se stesso e, per questo, non poté «decidere» liberamente di suicidarsi. Il gip respinse tale ipotesi accusatoria e, avverso a quella decisione, i pm hanno proposto ricorso al Riesame che, però, ha sostanzialmente confermato l'improbabile nesso tra i pestaggi e il suicidio di Lamine e, come il gip, escluso di conseguenza l'ipotesi di omicidio.

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Naturalmente, il giudicato cautelare elude la richiesta di rinvio a giudizio che è in esame dinanzi il gup di Santa Maria Capua Vetere. Oltre le accuse di tortura, maltrattamenti, depistaggio, i sostituti procuratori Daniela Pannone e Maria Alessandra Pinto, coordinate dall'aggiunto Alessandro Milita, sosterranno, per alcuni degli indagati, anche l'accusa di omicidio in quanto secondo la ricostruzione dell'ufficio inquirente, Hakine assunse il cocktail di farmaci perché in seguito ai pestaggi la sua già precaria condizione psicologica precipitò al punto da indurlo ad azioni sconsiderate.
 

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