San Gennaro, in mostra a Napoli i tesori e le patacche

Riuniti nel duomo due collari usati per adornare il busto del patrono e quello di San Vincenzo Ferrer. Anche con gioielli falsi ma perfetti

Il collare feriale (Sergio Siano per Neaphoto)
Il collare feriale (Sergio Siano per Neaphoto)
Maria Pirrodi Maria Pirro
Sabato 16 Marzo 2024, 18:28
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Gioielli e patacche. Corni e diamanti. Pietre vere e false, che raccontano storie di fede, arte, alto artigianato, ma anche di scalate sociali. In una mostra piccola e intensa, allestita nel museo del Tesoro di San Gennaro, all’interno del duomo di Napoli, composta solo da tre pezzi: unici e, per la prima volta, riuniti grazie all’intuizione di Laura Giusti, la curatrice, un’ex funzionaria della sovrintendenza che ha voluto esporre insieme «Tre collari».

«Uno è stato quasi dimenticato per secoli, “offuscato” dallo splendore dell’altro, ma appare il più bizzarro e originale», dice Giusti, spiegando che «rivela il tentativo di farsi notare compiuto da Giovan Francesco e Anna Lucrezia Spera: i loro nomi sono incisi sul retro dell’ornamento, in evidenza, anche se non si trova nemmeno una traccia della famiglia nei documenti della nobiltà di allora...».

Veri aristocratici o intraprendenti parvenu? Rimane il dubbio. Di certo, i due riescono nell’impresa: sono ricordati a distanza di oltre 300 anni. Non importa che le pietre arancioni siano false: particolare ed elegante è la linea di perline. «Ma, soprattutto, la mossa geniale è quella di far realizzare un secondo collare per il busto di San Gennaro con i loro gioielli che, altrimenti, sarebbero stati poi squagliati come gli altri per coprire i costi e far realizzare la mitra.

La loro testimonianza si salva perché va a colmare una lacuna nel patrimonio: meno appariscente, il collare viene messo sul busto tutti i giorni, come collare “feriale”, mentre l’altro è solenne, solo per determinate occasioni».

Esaltato dal fondo nero e protetto dal vetro infrangibile, il più prezioso colpisce per la grande bellezza, e permette di apprezzare da vicino il gusto raffinato e l’arte orafa dei maestri artigiani al lavoro nel Seicento, e poi per secoli impegnati ad aggiungere e montare nuove pietre preziose sui modelli originali, rinnovando simmetrie e disegni. «Il collare solenne ha valore inestimabile e rende tangibile la captatio benevolentiae ricercata con i doni dai sovrani che si sono avvicinati e persino da Giuseppe Bonaparte, non proprio religioso» sorride Giusti, puntando il dito su un bottone e una croce con 63 brillanti portati nella cappella del duomo da Maria Amalia di Sassonia (giovanissima sposa di Carlo di Borbone) o sugli zaffiri e i brillanti consegnati al sacrestano, personalmente, da Francesco I accompagnato dalla moglie e dai figli. Senza trascurare, nella affascinante narrazione, l’aneddoto irriverente sugli smeraldi e i diamanti, omaggio di Maria Cristina di Savoia quattro giorni dopo il matrimonio con Ferdinando II, descritti sempre come «savigné» negli inventari: «Ma con l’erronea trascrizione della parola “sévigné”, forse per le origini francesi della principessa», ipotizza la curatrice che per un anno ha scavato negli archivi e rivisto anche le date della prima commissione dell’opera. A questi monili si aggiungono, infatti, le pietre acquistate, per prime, dalla Deputazione tra cui diamanti di durezza inconfondibile: sono gli stessi, fatti arrivare dalla Colombia, che adornano la mitra, posizionata di fronte agli ornamenti, al centro della sala, dove alto e basso, ricchezza e povertà, dolore e gioia, si fondono.

L’ultimo collare, definito il più tenero, trasferito dal museo diocesano, rivela la profonda devozione del popolo per San Vincenzo Ferrer, detto «’o Munacone»: secondo la tradizione, con i suoi poteri taumaturgici in grado di fermare l’epidemia di colera del 1836-37; ricompensato con anelli sottili e grosse patacche, orologi da taschino, ciondoli a forma di cuore, un corno portafortuna, argenti e ori questa volta di modesto se non scarso valore, ma dal significato simbolico. E la gente oggi continua a lasciargli i suoi tesori, invocando la grazia o come segno di ringraziamento. Il culto si rinnova, è antico e contemporaneo. E così si ritrovano, l’uno accanto all’altro, la creatività, i drammi, la vitalità, i blasoni della città: il suo «corpo» e l’anima, la fede e la ragione. La mostra è in programma fino al 14 maggio con un’eccezione: il 5 aprile resterà senza uno dei tre collari. Quello di San Vincenzo Ferrer verrà esposto sul busto, in occasione della processione. 

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