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Pompei, riecco le domus della grande bellezza

di Carlo Avvisati
Articolo riservato agli abbonati
Giovedì 10 Novembre 2022, 11:04
4 Minuti di Lettura

Spaziosa. Ricca. Sfarzosa nelle pitture, sontuosa nei mosaici che ancora ne impreziosiscono i pavimenti, apre da oggi alle visite la Casa dei Dioscuri, una delle più belle e interessanti domus del parco archeologico di Pompei. Assieme, dopo circa vent'anni e un restauro durato a lungo, ritorna visibile anche la stupenda domus di Diomede, una delle prime scavate qui, situata poco fuori porta Ercolano. Estesa su una superficie di circa mille metri quadri, la casa dei Dioscuri venne realizzata accorpando tre abitazioni di proprietari diversi, che l'avevano arricchita di pitture e mosaici chiamandovi a lavorare le migliori maestranze sulla piazza. L'idea degli archeologi è che le pitture del IV stile della casa, siano state realizzate dagli stessi pittori che avevano decorato le pareti della Villa dei Misteri.

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Uno sfarzo che che chi osserva la domus dall'esterno non avverte. Basta, pero, varcare l'ingresso, affacciato sulla via di Mercurio, a qualche centinaio di metri dal foro cittadino, per intuire lo status sociale degli abitanti. Due pitture raffiguranti Càstore e Pollùce (sono copie delle originali, staccate tra il 1828 e il 1829, quando venne scavata la casa, ora al Museo archeologico di Napoli), i cosiddetti dioscuri, gemelli nati dall'unione di Giove con Leda, regina lacedemone sposa di Tindaro, accolgono il visitatore sui muri laterali di un ingresso semplice nella sua architettura. Ma appena si oltrepassa la soglia di fronte al visitatore si apre un atrio grandioso il cui impluvium, la vasca che raccoglieva le acque piovane, è circondato da dodici grandi colonne in tufo. Tutt'intorno si svelano gli ingressi di ambienti lussuosi, magnificamente decorati, per quei soggetti e colori che gli intonaci sono riusciti a conservare.

Ma quello che appare di grandissimo interesse a chi visita la casa è il giardino. Ricavato dall'abbattimento delle murature appartenute alla più piccola delle tre abitazioni originarie, è esteso per circa cento metri quadri, ed è stato filologicamente ricostruito seguendo gli schizzi che William Gell, un architetto viaggiatore ottocentesco, si trovò a riprodurre con tratti e colori sul proprio taccuino di viaggio. Quella pittura, del tutto scomparsa per le inevitabili offese del tempo e della sua esposizione agli agenti atmosferici - pioggia, sole, vento, freddo - era situata sul muro perimetrale della casa che chiudeva l'area verde e riproponeva i tipi di piante che vi si coltivavano. Ecco, se Gell non avesse riportato nel suo taccuino di viaggio quella decorazione «Oggi» osserva Paolo Mighetto, architetto e responsabile del verde del parco archeologico, «non saremmo stati in grado di ricostruire correttamente il giardino ideale che era stato riportato sulla muratura e che riproponeva esattamente quello presente nel peristilio». Per l'impianto del giardino della casa sono state utilizzate specie vegetali prodotte autonomamente nel vivaio della flora pompeiana degli scavi. Identico, anche se limitato per problemi di salvaguardia del verde esistente, è stato l'intervento degli specialisti sugli spazi lussureggianti di palme e altre specie vegetali della villa di Diomede. Una delle mete preferite dei viaggiatori ottocenteschi del Grand Tour.

La villa di Diomede è famosa anche perché il romanziere francese Téophlie Gautier, che la descrisse nel suo romanzo Arria Marcella, ricordo di Pompei, oltre che per il numero di scheletri ritrovati: diciotto, tra adulti e bambini. Gli interventi di restauro hanno riguardato il consolidamento degli ambienti, la costruzione di nuove coperture a protezione di intonaci e pitture parietali e l'impianto di un ascensore per non deambulanti.

«Con queste aperture», osserva il direttore Gabriel Zuchtriegel, «avviamo la restituzione alle visite di grandi dimore restaurate. Di Più. Ci apriamo al sociale e alla società attraverso l'inclusione di ragazzi con autismo e disabilità cognitive che oggi sono con noi. Per questo abbiamo attuato un progetto di agricoltura sociale che vede questi ragazzi e le loro famiglie impegnati nella produzione di succhi e marmellate di frutta, come melograni e mele, raccolta nei nostri giardini e trasformata secondo antiche ricette descritte da autori come Plinio il Vecchio».

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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