Artemisia Gentileschi, i «colori delle stelle» della grande pittrice del Seicento nel romanzo di Messina

Artemisia Gentileschi, i «colori delle stelle» della grande pittrice del Seicento nel romanzo di Messina
di Marco Perillo
Venerdì 11 Marzo 2022, 20:05 - Ultimo agg. 20:13
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Dopo aver raccontato il Seicento attraverso il racconto breve, lo scrittore siciliano - ma napoletano d'adozione - Raffaele Messina torna in libreria con un romanzo dedicato a una delle più celebri figure femminili del mondo dell'arte: Artemisia Gentileschi. «Artemisia e i colori delle stelle», edito da Colonnese, è infatti un affresco sulla mirabilante vita della pittrice seguace di Caravaggio, sullo sfondo di due città barocche, Roma e Napoli, vivide e ferali.

La Gentileschi fu la prima donna a essere ammessa all’Accademia del Disegno di Firenze (1616) e a divenire pittrice di rilievo europeo. La sua figura è colta dall'autore attraverso due momenti fondamentali: la giovinezza, segnata dallo stupro subito, dal processo pubblico, da un matrimonio senza amore, e gli anni della maturità, quando, ottenuto il successo, ripercorre la propria esistenza e ne tenta un bilancio, ricercando in sé oltre la pittrice, anche la moglie, la madre, la donna.

Docente e narratore, Messina collabora alla rivista «l’Espresso napoletano» e al giornale «il Quotidiano del Sud». Dottore di ricerca in Italianistica ed esperto di didattica della letteratura, è autore di saggi storico-letterari e manuali scolastici pubblicati da Guida, Loffredo, Palumbo, Medusa, Ellepiesse. In narrativa ha esordito con il romanzo Ritrovarsi (Guida editori, 2018), seguito dal racconto Nella bottega di Caravaggio (Colonnese, 2019) e dalle raccolte Con la coda dell’occhio (Homo Scrivens, 2019) e Masaniello innamorato e altri racconti (Colonnese, 2021).

foto di Anna Camerlingo 

“Artemisia e i colori delle stelle” è un volume pubblicato da Colonnese editore nella collana ‘I nuovi trucioli’. Un romanzo o più che altro una biografia romanzata?

Non è una biografia romanzata. Per quanto ampiamente ispirato alla straordinaria figura di Artemisia Gentileschi, il mio è un romanzo. Nel 1616 Artemisia fu ammessa all’Accademia del Disegno di Firenze, per prepararsi a divenire una pittrice di rilievo europeo. Fu la prima volta che accadeva a una donna. Qualche anno prima, nel 1611, Artemisia era stata vittima di uno stupro e, avendo il padre denunciato l’accaduto, si trovò al centro di un processo pubblico con tanto di visite ginecologiche e torture per ribadire la veridicità delle accuse. Anche questa fu una ‘prima volta’. Il mio romanzo riprende tutto ciò e, inoltre, si sofferma sugli anni della maturità a Napoli, a metà del secolo. Anni che vedono Artemisia impegnata nella lotta quotidiana per affermare la propria autonomia, nonostante la notorietà ormai raggiunta. E nel ricostruire entrambe le fasi, mi avvalgo delle libertà postulate dal genere letterario, non ultime quelle della consapevole modifica di alcuni dati di fatto o dell’invenzione di situazioni, circostanze e qualche personaggio, sia pure nell’ambito di una sorvegliata verosimiglianza.

Artemisia Gentileschi è un personaggio storico molto noto. Non ha temuto il rischio di essere ripetitivo?

Il rischio c’è sempre quando si scrivono romanzi centrati su personaggi storici di un certo rilievo.

Tuttavia, proprio perché un romanzo non si realizza di getto, ma presuppone una lunga opera di documentazione e di ricognizione bibliografica, da tale rischio ci si può difendere. Penso che il mio Artemisia si differenzi dagli altri romanzi già noti per almeno due buone ragioni. La prima è che riporto Artemisia a Napoli, nel senso che restituisco peso e centralità al ‘periodo napoletano’ della vita e della produzione artistica della Gentileschi, laddove altre opere tendono a considerare, con esito riduttivo, il periodo napoletano come uno dei tanti soggiorni che ella ebbe in varie città italiane ed europee: circa nove anni a Firenze, un biennio a Londra e altri più brevi altrove. Ma quella di Napoli non fu una tappa come le altre. Napoli fu per Artemisia la seconda patria, dopo Roma dove nacque. Fu la seconda patria non soltanto per l’ampiezza dell’arco cronologico che la vide nella capitale del Viceregno (circa ventitré anni, sia pure interrotti dal soggiorno londinese), ma anche perché a Napoli mise radici non soltanto professionali: sposò le entrambe le figlie, ad esempio.

E la seconda buona ragione qual è?

È che sottraggo Artemisia alla visione stereotipata della donna che si vendica dello stupro subìto, dipingendo eroine bibliche che tagliano la testa agli uomini: Giuditta e Oloferne, per intenderci. Della donna che vive soltanto di arte, del successo artistico che la riscatta e l’affranca dalla dipendenza da un uomo. C’è tutto questo, ovviamente, ma c’è anche molto di più. La mia Artemisia non è appiattita sui soli sentimenti della vendetta e dell’orgoglio. È una donna che ha avuto cinque figli, due dei quali sono morti nei primissimi anni di vita, uno nei primi mesi. Artemisia è una donna che, dopo la relazione durata quasi un anno con il maestro di prospettiva che l’aveva stuprata, sposerà un altro uomo e vivrà ulteriori passioni amorose, anche forti. Ma non riuscirà mai a costruire un legame profondo e duraturo con alcuno. Ecco, io immagino che Artemisia, ottenuto il successo e avanti negli anni, ripercorra la propria esistenza e ne tenti un bilancio, oltre la pittrice, anche come moglie, madre, donna.

Lei prima faceva riferimento al lavoro di documentazione. Quali sono state le sue fonti?

Punti di partenza sono stati gli Atti di un processo per stupro e un corpus di Lettere della Gentileschi a vari principi, mecenati e committenti, entrambi pubblicati a cura di Eva Menzio nel 2004. Alcuni passi degli atti processuali, per il loro valore documentario, li ho riportati all’interno del romanzo in forma originale; di qualche lettera, invece, ho ripreso i contenuti, trasponendoli in una versione linguistica più scorrevole e omogenea al resto della narrazione. Non meno fondamentale, sul piano delle fonti, è stato il corposo apparato di note e documenti che Alexandra Lapierre ha posto in appendice alla propria biografia romanzata, Artemisia (1999). Ma poi ci sono anche altri romanzi che, per le ricostruzioni di atmosfere e di ambienti seicenteschi che presentano, hanno segnato il nostro immaginario collettivo e hanno assunto, pertanto, un valore assimilabile a quello delle fonti documentarie. Mi riferisco a Morte dell’Inquisitore (1964) di Leonardo Sciascia, a La lunga vita di Marianna Ucria (1990) di Dacia Maraini, fino al più recente La vera storia di Martia Basile (2020) di Maurizio Ponticello. Tutte opere che si aggiungono al prezioso saggio storiografico di Nino Leone, La vita quotidiana a Napoli ai tempi di Masaniello (1994).

Al pubblico di oggi, che predilige chiaramente il romanzo poliziesco e quello noir, quali elementi di interesse può offrire un romanzo storico?

Credo poco alla classificazione delle opere letterarie in generi e sottogeneri. Preferisco distinguere tra romanzi validi e meno validi. Io ho cercato di realizzare un romanzo intenso, che restituisse ricchezza e complessità a una figura femminile di grande valore. In ogni caso, vorrei aggiungere che gli elementi di contatto tra il romanzo poliziesco e quello storico sono maggiori di quanto si possa ritenere a prima vista. Entrambi, ad esempio, si avvalgono dello stesso meccanismo psicologico che lega il lettore alla pagina narrata: la cosiddetta ‘sfida d’intelligenza’. Tutti noi, quando leggiamo un poliziesco, entriamo in ‘competizione’ con l’autore, nel tentativo di scoprire chi sia il colpevole, prima che ce lo sveli l’autore stesso nelle pagine finali. Ebbene qualcosa di simile avviene nel romanzo storico. In questo caso, infatti, il lettore è costantemente chiamato a cogliere la sottile e sempre oscillante linea di demarcazione tra i fatti veri evocati dall’autore e quelli verosimili, più liberamente inventati.

“Artemisia e i colori delle stelle” segue il successo di “Masaniello innamorato” e del precedente “Nella bottega di Caravaggio”, tutti editi da Colonnese. C’è qualcosa che lega queste opere, oltre l’evidente ambientazione seicentesca?

Sì, c’è. Li lega il mio amore per Napoli. Li lega anche il mio impegno contro la violenza sulle donne, alla base di gran parte di ciò che scrivo.

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