Da una parte c'è il mondo dei crociati mossi da alti ideali il cui scopo è liberare la Città santa dagli infedeli, pronti a dare la vita per l'onore dei cristiani. Dall'altra parte i saraceni, descritti come inclini a coprofagia, cannibalismo, nudismo, libertà sessuale, poligamia, incesto. Ma la storiografia inizia ad avere dubbi sulla descrizione dei due campi, anche in Italia, come dimostra lo studio firmato dal giovane medievista napoletano Davide Esposito, La chanson de Jérusalem: l'epopea dei crociati cannibali (Carocci, pagine 244, euro 26).
La «Chanson de geste» in esame, comparsa nel 1100 nel Nord della Francia, pur restando propagandistica sino all'eccesso, ci permette di vedere più da vicino gli schieramenti.
Sono guidati da un re, di solito un cavaliere normanno decaduto, armato di falce e vestito non di un mantello di seta ma di un sacco senza alcun tipo di decorazione, pieno di strappi e buchi, tenuto stretto in vita grazie a cordicelle di canapa e fissato al collo. Al posto di una corona d'oro sul capo una corona di foglie con boccioli.
Nella «Chanson de Jérusalem» i Tafuri formano un piccolo esercito di 10.000 uomini, paragonati a «veri e propri animali, simili alle truppe animalesche del contingente musulmano. Anche la nerezza, caratteristica demoniaca che associa i musulmani a Satana, torna nella descrizione dei Tafuri. Sono elementi ai margini della società cristiana, uomini lontani dalla civiltà e, perciò, lontani dal modello standard del cavaliere crociato che, seppur umile, non è rozzo come i Tafuri, ma espressione di un ideale di bellezza», commenta Esposito. I Tafuri stuprano le donne musulmane e, una volta uccisi gli infedeli, iniziano a spogliare i cadaveri, scarnificarne i corpi poi salati, asciugati al sole e infine... consumati.
La «Chanson de Jérusalem» mette in discussione «il tradizionale dualismo manicheo cristiani-musulmani e propaganda l'idea che contro i turchi tutto sia lecito, anche mangiarne i corpi, perché ai cannibali in nome di Dio saranno aperte le porte del paradiso».