Franco Cordelli, l'ultimo critico-autore: il libro omaggio per i suoi 80 anni

Rizzoli pubblica Procida, sulla copertina un particolare da «Costa presso Dumbar»

Franco Cordelli, l'ultimo critico-autore
Franco Cordelli, l'ultimo critico-autore
di Stefano Gallerani
Lunedì 20 Febbraio 2023, 07:00 - Ultimo agg. 21 Febbraio, 07:21
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Nel marzo del 1973, a 50 anni da oggi e a due lustri di distanza dall'anno mirabile della letteratura italiana del secondo Novecento (quello di La cognizione del dolore di Gadda e di Fratelli d'Italia di Arbasino, per intenderci), Rizzoli pubblica Procida, di un trentenne scrittore romano alla sua prima prova, Franco Cordelli. Sulla copertina, un particolare da «Costa presso Dumbar», dell'inglese John Ruskin, restituisce, con le sue sfumature tenui di grigio e marrone, l'atmosfera petrosa e quasi astratta di un libro in cui il paesaggio, quello mentale del protagonista come quello fisico dell'isola flegrea che campeggia nel titolo, si fa immagine e lingua; una lingua esatta e precisa, nella sua deliberata asperità, che tanto deve sia alle inquietudini contingenti della post-avanguardia degli anni Settanta che a una laica fede per le più classiche tradizioni narrative (quella diaristica su tutte). Di quel romanzo d'esordio, sulle pagine dell'«Avanti» Walter Pedullà scrisse in tempo reale che «le doti del prosatore sono lampanti, e già così mature da non aver bisogno d'essere brillanti», mentre Enzo Siciliano sul «Mondo» notò come Cordelli non solo riuscisse «a far vedere quello che scrive», ma sapesse «ricavare emozioni e mistero dalle anfrattuosità del terreno su cui muove protagonista e personaggi» tanto che Procida diventa una sorta di stevensoniana «isola del tesoro» e la casa in cui l'eroe vive un doppio del «padiglione delle dune» all'ombra del quale lo stesso Stevenson aveva evocato, quasi un secolo prima, un'avventura misteriosa di persone che si nascondono e spiano.

Dopo di allora, a questo sono seguiti, per Cordelli, altri romanzi (otto, come il suo numero prediletto) tra i quali, fatta eccezione forse solo per Pinkerton (1986), è difficile spiccarne uno più importante di un altro, tanto la parabola disegnata dal loro insieme è tenuta salda da una coerenza stilistica e, dunque, di contenuto come difficilmente se ne riscontrano nel panorama letterario dell'ultimo mezzo secolo.

Il tutto sopravvivendo alle mode e alle polemiche del momento che, pure, Cordelli, di stagione in stagione, ha conosciuto e vissuto in prima persona, considerato che la battaglia con il proprio tempo è uno dei principali serbatoi della sua fantasia romanzesca; una battaglia, però, non di semplice contrapposizione degli opposti, ma di veri e propri corpo a corpo particolari dai quali scaturisce, all'esito, un risultato inedito e inaspettato. Che poi, lo abbiamo accennato, è esattamente quello che accade già in quel primo Procida, dove, in qualche strano e misterioso modo, tutto è già deciso. A partire dalla contraddizione da cui nasce, ovvero la tabula rasa che le avanguardie all'ombra delle quali Cordelli è cresciuto avevano fatta della forma romanzo: «Così», scrive Cordelli nella nota che accompagna nel 2006 una nuova edizione del libro, «mi sono messo a scrivere Procida, in un deserto». Deserto tanto esistenziale, dunque, che letterario. Ma, anche, deserto che se in quel 1973 sembrava soprattutto immaginario, nella versione rivista del romanzo palesa, grazie al disvelamento delle date, il suo stretto legame con il presente e con la Storia. Già, perché le prime righe che scrive l'io narrante o, meglio, confessante recano l'intestazione «16 dicembre 1969», ovvero il giorno della strage di piazza Fontana. Il suo è, dunque, il confino morale di un uomo e di un intero Paese alle prese, come lui di fronte al cadavere di una giovane donna, con un enigma destinato a non trovare soluzione ma dopo il quale nulla sarà più lo stesso. «Chissà se mai un'altra avventura racconterò, un'avventura più strana ancora», così Cordelli, che proprio oggi compie ottant'anni, chiude l'ultima pagina di Procida, affidandola a tre punti di sospensione e rendendo omaggio al prediletto Gombrowicz. Fortunatamente, lo abbiamo detto, altre avventure sono state raccontate dall'autore di Guerre lontane (1990), La marea umana (2010) e Tao 48 (2022), così come migliaia sono stati i libri scandagliati per il «Corriere della Sera» e legione gli spettacoli recensiti da quel lontano 1968 in cui Elio Pagliarani lo chiamò a scrivere di teatro per «Paese Sera»; il che, al momento, dà a Cordelli il vanto, sono parole sue di pochi giorni fa, «di essere il critico teatrale più longevo della storia d'Italia» e concede a noi il privilegio di festeggiare con lui, con i suoi libri, le sue parole e la sua contagiosa, bizzosa passione, cinque decenni di quello che a ragione, retorica permettendo e spirito critico soccorrendo, si può definire un vero e proprio magistero. Uno dei pochi degni di essere chiamati con questo nome. 

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