Giuseppe Occhiato, Oga Magoga: l'Odissea popolare di un Joyce calabrese

Oga Magoga fu rifiutato nei primi anni Sessanta da vari editori per la sua ambientazione calabrese

Giuseppe Occhiato
Giuseppe Occhiato
di Giuseppe Montesano
Domenica 11 Dicembre 2022, 09:00
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A vent'anni uno scrittore nato nel 1934 scrive un romanzo nato dalla tragedia della guerra e dalle proprie ferite personali. Poi lo brucia e dopo un po' lo riscrive a memoria. Passano degli anni e lo riscrive ancora. Poi passano altri anni e lui lo riscrive ulteriormente. Lo scrittore vive in Calabria, lavora, e riscrive di nuovo il libro. Infine lo riscrive, nel corso di nove anni, tra il 1990 e il 1999, e il libro viene pubblicato per la prima volta da un minuscolo editore nel 2000. E oggi ecco che un editore importante come Il Saggiatore manda in libreria questo romanzo di 1300 pagine che si intitola Oga Magoga e il cui autore si chiama Giuseppe Occhiato.

Oga Magoga fu rifiutato nei primi anni Sessanta da vari editori per la sua ambientazione calabrese; è poi stato accostato ai cicli di Camilleri per l'uso del dialetto e per i luoghi inventati ma reali; e adesso viene sotto l'occhio smaliziato e un po' annoiato del lettore contemporaneo che vive la realtà in pixel.

Ma cos'è Oga Magoga? Per chi entra nel suo mondo le notizie sono «allarmose», la guerra è «sessinatrice», per l'arrivo dei «neri» al seguito degli americani i personaggi sono «cafariati», le «bombazze» sprigionano «puzzure», per lo spavento «un pellizzone gli andava e uno gli veniva», e nessuno «dopo che il Duce se n'era andato a mitto» voleva «appizzarci la vita», e, a un certo punto, al protagonista innamorato degli «occhi abbaglianti» di una donna, ma incapace di scegliere tra lei e un'altra, la donna dice: «Mi piacesti, sai, ieri sera. Né firlinghì, né firlingò. Bravo fosti a rispondere: orru e rapino. Se, all'incontrario, ti rivelavi perso di spirito, o magari rispondevi alla sinfasò, come un gaggiò, voleva dire che mi ero sbagliata».

Soliti estetismi dialettali? Per niente. Una delle sorprese del romanzo di Occhiato è che la creatività linguistica è sempre al servizio del raccontare romanzesco. La sua scrittura è sottile, non si chiude mai nell'incomprensibilità dialettale, e la ricchezza lessicale che fa festa nel romanzo non è ornamentale ma è al servizio dell'esattezza: il termine colto o calabrese o anche «meridionalese» plasmato da Occhiato dà precisione alle tonalità su cui canta il romanzo. Occhiato è abilissimo a usare il lessico dialettale o composito in contesti che illuminano da soli al lettore i significati dei dialettismi: lasciando di misterioso il riverbero poetico, la musica delle sensazioni e dei pensieri, e perseguendo una sintassi quasi classica.

Oga Magoga non è un'epopea semplificata o fuori del tempo in stile Odissea rivisitata oggi, ma è un vero romanzo, e un romanzo della modernità: perché se Occhiato si appoggia al mito greco e calabrese e meridionale e mediterraneo, lo fa come nell'Ulisse Joyce si appoggia al mito greco e al mito irlandese.

Gli eventi alla fine della guerra, con gli Alleati che risalgono l'Italia, quelli precedenti e di poco successivi, sono l'ossatura storica e atmosferica del libro, ma dalle ossa fiorisce la carne dei personaggi con amori e odi, con la società del tempo e l'uomo di sempre, in un trascolorare di toni narrativi che passano dal tenero al tragico, dal comico all'ironico, dall'epico all'onirico, dal realistico al simbolico, arrivando a una voce plurale ma unitaria: la voce che racconta Oga Magoga risuona oggettiva. Probabilmente Occhiato era partito dal suo Io di ventenne lacerato da una tragedia, ma ha poi raggiunto attraverso le riscritture, che per lui furono la vita stessa, quel particolare tipo di voce in cui lo scrittore è dovunque ma si è estinto in quanto Io-Personaggio, e si è trasformato nel flusso della narrazione, riverrun, fiumescorrente, flussoperpetuo. 

Il lettore che scrive qui, che per ora è a pagina 280 ma poiché prova piacere nella lettura continuerà fino alla fine, non può che essere grato all'editor del Saggiatore Andrea Gentile, che oggi pubblica Occhiato e rivendica giustamente una scelta editoriale coraggiosa. Nel caos attuale, nello spegnersi del fuoco della letteratura e della lettura, vale forse solo fare libri unici che non si adagino come salme in una casellina, ma si leghino agli altri proprio perché sono diversi uno dall'altro: libri come Oga Magoga, sorta di favoloso, mitico, poetico incrocio tra Grande Sertao di Guimaraes Rosa e Orcynus Orca di D'Arrigo, con echi della realtà inventata ma vera di Macondo come del leggendario e feroce Sud di Menzogna e sortilegio: e di un Ulysses sognato attraverso una mente italiana. Con Oga Magoga il romanzo festeggia ancora una volta il suo potere di inventare il mondo. 

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