Il socialista che salvò il cantore del fascismo in «Giocatori d'azzardo» di Virman Cusenza

Il socialista che salvò il cantore del fascismo in «Giocatori d'azzardo» di Virman Cusenza
di Mauro Canali
Mercoledì 12 Gennaio 2022, 16:53 - Ultimo agg. 9 Febbraio, 11:57
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Il «caso Interlandi», esploso nel dopoguerra nella stagione delle epurazioni, era giunto a noi come il classico esempio del gerarca fascista che, alla caduta del regime, era riuscito a farla franca, sparendo e riapparendo solo dopo che l'amnistia Togliatti aveva estinto d'un colpo tutti i reati fascisti. Altro non si sapeva di lui se non alcune voci che lasciavano intravedere dietro il suo salvataggio una vicenda straordinaria di cui mancavano tuttavia i dettagli. Ora la storia in tutta la sua interezza ce la narra un agile e straordinario lavoro di Virman Cusenza, ex direttore de «Il Mattino» e de «Il Messaggero», Giocatori d'azzardo, che, attraverso la vicenda di Interlandi, restituisce anche il clima di quella lontana stagione epurativa, che dopo la rovinosa caduta del regime mussoliniano vide i primi incerti passi della nuova Italia democratica.
Una stagione politica fatta di estremismi e di compromessi, di efferatezze e di pietà, di viltà e di gesti eroici.

Di eroismo e di pura e disinteressata generosità è permeata la vicenda che vede l'intrecciarsi di due vite, quella del fascista siciliano a quella di Enzo Paroli, un avvocato bresciano che non solo aveva deciso di difenderlo davanti alla Corte d'Assise straordinaria di Brescia, ma gli offrì al momento opportuno un sicuro rifugio sottraendolo a una morte certa per mano dei molti che si erano messi sulle sue tracce. Il gesto di Paroli assume una valenza straordinaria se si ricordano solo alcuni dei momenti più significativi della parabola politica di Interlandi. Direttore del quotidiano «Il Tevere», un foglio intransigente, fazioso e oltranzista, la sua carriera ebbe una decisa impennata nell'agosto del 1938, quando venne chiamato a dirigere il periodico «La difesa della razza».

Da allora al 1943, fu l'interprete fanatico della stagione del fascismo razzista e antisemitico, il teorico più intransigente e ferocemente coerente della persecuzione contro gli ebrei. Aderì alla RSI e fu tra i responsabili della propaganda radiofonica di Salò. Era perciò legittimo prevedere che alla caduta del fascismo dovesse venir chiamato a pagare il conto. Invece non fu così, e la vicenda narrata da Cusenza, che riprende un vecchio progetto di Sciascia mai realizzato, riserva al lettore non poche sorprese e novità.

Sapevamo che alla caduta del fascismo, Interlandi era stato detenuto per un breve periodo nelle carceri bresciane, ma che poi, liberato per errore, aveva fatto perdere le sue tracce. Ora sappiamo che trovò rifugio, con la sua famiglia, la moglie e un figlio, per ben otto mesi nella villa di Enzo Paroli, rampollo di una famiglia alto borghese bresciana, figlio di Ercole, un autorevole membro nel 1912 della direzione nazionale del Partito socialista riformista di Bonomi e Bissolati. Durante tutto il Ventennio, Ercole era rimasto fedele ai suoi ideali, così come deciso antifascista si era sempre dichiarato il figlio.
Cusenza cerca di scavare nella vita di Enzo per fornire una spiegazione di questa strana, precoce riappacificazione personale di due opposti rappresentanti di una Italia lacerata e spaccata in due, in cui, alla fine, ad apparire non facilmente decifrabile è proprio la decisione dell'avvocato, mentre Interlandi, per nulla pentito dei suoi trascorsi, appare solo interessato a sfuggire alla caccia della magistratura e a presentare al suo salvatore una narrazione di sé fondata sul mendacio e sulle omissioni.

Ma tutto questo sembra non interessare Enzo Paroli, non rappresentare per lui un motivo valido per portare l'ex direttore della Difesa della razza davanti alla giustizia. Cusenza suggerisce alcune chiavi di lettura del comportamento dell'avvocato bresciano, che forse non intende essere partecipe di una giustizia che ha assunto ai suoi occhi i connotati di una vendetta dei vincitori sui vinti. A lui interessano le prospettive meno immediate del suo Paese, la necessità che esso presto ritrovi una unità morale che ora gli appare umiliata dalle molte Corti di Assise straordinarie antifasciste che operano per il gusto acre della rappresaglia. Ciò non vuol dire che Paroli condivida il mondo morale di Interlandi, tanto che, quando tutto finisce, il saluto tra i due è distaccato e definitivo, e probabilmente non si cercheranno più. Il salvatore ha operato con uno sguardo più lungo e più ampio, in cui non trova posto alcuna considerazione per il razzista salvato.
 

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