Jean Blanc, L'arte degli antichi Paesi Bassi: la Napoli aragonese
​scopre l'arte fiamminga

Ci passano davanti e ci ipnotizzano le opere di van Eyck, van der Weyden, Memling, Gossaert, Peter Breugel il Vecchio

La Napoli aragonese scopre l'arte fiamminga
La Napoli aragonese scopre l'arte fiamminga
di Giuseppe Montesano
Lunedì 8 Gennaio 2024, 07:00 - Ultimo agg. 18:10
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A volte persino chi si imbatte spesso in libri belli, e quindi dovrebbe essere abituato, rimane sorpreso, come è capitato a me aprendo un libro che a un certo punto mi ha sommerso, travolto, spiazzato, e mi ha costretto a ripensare e a rivedere con occhi diversi ciò che pensavo di conoscere già bene: il volume lo ha costruito e annotato lo storico dell'arte Jean Blanc, si intitola L'arte degli antichi Paesi Bassi. Da Van Eyck a Bruegel e lo ha pubblicato Einaudi con seicento illustrazioni a colori di opere d'arte.

Arrivate dagli antichi Paesi Bassi, più o meno gli attuali Olanda, Belgio, Lussemburgo, ci passano davanti e ci ipnotizzano le opere di van Eyck, van der Weyden, Memling, Gossaert, Peter Breugel il Vecchio, e oltre ai dipinti le opere di oreficeria e di architettura, gli arazzi e le Bibbie, le sculture e i disegni, le incisioni e le miniature; e sappiamo di trovarci in due secoli, tra il 1384 che è già autunno del Medioevo e il 1581 che è già manierismo e oltre, e che i Paesi Bassi, le «plat pays», sono in contatto diretto con la Francia, l'Inghilterra e il sacro romano impero germanico; e che sono un paese piccolo, con i 50 chilometri che separano Bruges, Anversa, Bruxelles e Gand, ma sono aperti dal commercio all'Europa intera, in un'idea di Paese non ancora nazionalistica; che vivono crisi storiche complesse, tra il principato di Borgogna di Giovanni Senza Paura e il governo imperiale di Carlo V, fino all'indipendenza delle sette province unite passando dal cattolicesimo al protestantesimo, compresenti con l'ebraismo; e con Blanc impariamo anche che il primo scopritore, già nel 1456, dei maestri neerlandesi, fu Bartolomeo Facio, segretario del re nella Napoli di Alfonso d'Aragona; e capiamo che tutto questo è importante, sì, ma non può spiegare cosa c'è in questo libro-scrigno: bisogna aprire e guardare, e poi, forse, bisogna aver visto quella luce.

Una luce grigio perla che è luminosa ma non ha la crudezza del sole italiano, una luminosità quasi traslucida che cade su un territorio ricco di corsi d'acqua, con il mare e senza montagne, una luce non solo materiale ma culturale che permette di vedere i dettagli con chiarezza irreale, e fornisce una nettezza agli oggetti che è «quasi» metafisica, come la luce che entra dalle finestre nei dipinti di Vermeer, non la luce en plein air ma quella luce filtrata da vetri, tende e sentimenti che Baudelaire vide senza esserci andato, un'idea di «plat pays» che come un chiaroveggente era riuscito a ricavare da quadri e incisioni: «È un paese superbo...

Un luogo singolare, annegato nelle brume del nostro Nord: potremmo chiamarlo l'Oriente dell'Occidente, la Cina dell'Europa... Un vero paese di Cuccagna, dove tutto è bello, ricco, tranquillo, retto; dove il lusso ha piacere di specchiarsi nell'ordine; dove la felicità è sposata al silenzio... I soli al tramonto, che colorano così riccamente la sala da pranzo o il salotto, sono filtrati da belle stoffe o da quelle alte finestre... Paese singolare, superiore agli altri, come l'Arte lo è alla Natura, dove essa è rifatta dal sogno, dove essa è corretta, abbellita, ricreata...».

Ecco colto una volta per sempre il realismo solo apparente dei maestri neerlandesi o fiamminghi, e messa in luce invece la particolare tonalità emotiva di cosa vista a occhi aperti eppure vista come in sogno, la profusione di lusso sposata alla pensosità soffusa che non emana debolezza o fragilità, ma forza: una visione della realtà che sembra essere musicale, e la sua musica sarà quella che va dal luminoso canto di Machaut all'intricato canto dei grandi fiamminghi, con la polifonia che intreccia le voci come linee emotive che bisogna imparare a vedere con le orecchie, così come vanno ascoltati con gli occhi i brusii e gli squilli emotivi che si intrecciano in Memling, in van Eyck, in Weyden.

N. B.

Se è possibile darsi a una festa delle immagini con questo prezioso volume, è anche perché l'autore sa tessere intorno alle opere una trama di chiaroscuri critici che, con l'attenzione a tecniche e storia e contesti culturali, non fa che potenziare la nostra capacità di conoscenza estetica. E allora si aspetta con grande impazienza il volume di Blanc annunciato da Einaudi, Il Secolo d'oro olandese. Una rivolta culturale nel XVII secolo, con Vermeer, Rembrandt, Rubens, coscienti che l'arte non ci salverà dalla bruttezza dell'esistenza falsificata in cui viviamo, ma che almeno continuerà a dirci che potrebbe esistere un altro mondo: un'altra vita. 

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