Licia Troisi, regina del fantasy italiano (le tre trilogie del Mondo Emerso, ma anche La ragazza drago, I regni di Nashira, almeno da ricordare) si cimenta nel thriller con La luce delle stelle, che per certi versi ricorda «Shining», il film di Kubrick, tratto da un romanzo di King.
«Avevo un problema da risolvere», premette la scrittrice: «Un astronomo doveva fare il detective, e volevo che a indagare fosse un ricercatore e non un poliziotto. Così sono partita da un posto dove i tutori dell'ordine non fossero presenti. Gli osservatori sono ubicati in posti isolati: in montagna, su isole remote o in mezzo al deserto, lontani da sorgenti luminose. Le somiglianze con Shining si fermano qui».
Luglio, ventunesimo secolo: in uno sperduto angolo di mondo, in un grande osservatorio astronomico che dispone di strumenti spaziali di ultima generazione, lavorano giovani ricercatori ansiosi di emergere.
«In realtà avevo messo degli elementi gialli anche in altri miei libri, però erano all'interno di una cornice fantastica», spiega la quarantatreenne scrittrice di Ostia: «L'idea di scrivere un giallo con protagonista un astronomo mi ha sedotta. Nella scienza il mistero abbonda, perciò è molto affine all'inchiesta poliziesca, tanto è vero che si dice comunemente indagine scientifica».
Il mondo dell'astrofisica stellare viene descritto come iper-competitivo, per non dire altro: «Ho un po' esagerato per mettere in evidenza i vari aspetti della vicenda, ma la competizione c'è, è eccessiva ed inizia ad essere negativa per la scienza. Oramai le nuove scoperte si fanno con le grandi collaborazioni perché gli strumenti che servono costano moltissimo. Perciò si mettono assieme grandi gruppi di ricerca e tanti enti per realizzarle. E, secondo me, queste collaborazioni andrebbero favorite e intensificate anche per limitare le sgomitate per emergere. Un ritmo un po' più blando, il concentrarsi maggiormente sulla scienza piuttosto che sulla carriera, favorirebbe la ricerca».