Antonio Manzini, Tutti i particolari in cronaca: il poliziotto giustiziere e il giovane reporter

«Bologna per me ha sempre rappresentato la vittima delle dinamiche più oscure di questo Paese»

Antonio Manzini
Antonio Manzini
di Francesco Mannoni
Venerdì 19 Gennaio 2024, 07:00 - Ultimo agg. 20 Gennaio, 07:21
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Carlo Cappai, ex poliziotto, relegato nell'archivio del tribunale di Bologna dopo un incidente in servizio, non è un giustiziere della notte come Charles Bronson, ma lo emula. E nel nuovo, cupo, romanzo di Antonio Manzini (senza Rocco Schiavone) Tutti i particolari in cronaca (Mondadori, pagine 304, euro 17,50), sono tante le sue vittime: tutte processate e assolte dall'accusa di aver compiuto terribili omicidi. A Cappai «un ragno che da quarant'anni tesseva la sua tela», queste assoluzioni suonavano false, soprattutto quella di Luigi Sesti che nel 1977 durante una manifestazione studentesca aveva ucciso sotto i suoi occhi una cara amata amica diciassettenne. «Da allora», racconta Manzini, «Cappai ha vissuto pensando alla vendetta, ascoltando i sussurri dei documenti che dagli scaffali polverosi dell'archivio gli indirizzavano lamenti e richieste di giustizia dove questa è mancata. E, dopo aver vissuto in una sorta di idiosincrasia sociale, trasformarsi in vendicatore solitario per raddrizzare i verdetti di giurie che non avevano assolto al loro compito condannando i colpevoli per lui diventa un impegno doveroso. Dopo quarant'anni, quando torna in città per il funerale del padre Luigi Sesti, ricco e impunito che dopo l'assoluzione ha sempre vissuto all'estero, a Cappai sembra finalmente arrivato il momento tanto atteso per la sua eliminazione»,

Ma sulla strada di Cappai c'è Walter Andretti giovane, intuitivo giornalista del quotidiano locale, aizzato dalle sferzate della «capa» ad un'attività più attenta e incisiva. Ma partiamo da vendicatore Cappai, Manzini.
«È un uomo solo; ha subito una serie di angherie e di violenze, è profondamente rancoroso ed è stato colpito in modo cocente dall'ingiustizia che gli è arrivata addirittura da dentro casa, da suo padre che era un Giudice di Cassazione».

Con il reporter stabilirà un'intesa silenziosa, pur essendo i due agli antipodi.
«Ma l'intesa è postuma.

A Cappai piace il giornalista che indaga sui suoi delitti: ne legge l'intelligenza. È un giovane che ha parecchi anni meno di lui, gli sembra svogliato, ma lo vede crescere professionalmente e assiste in prima persona a una trasformazione, a una sorta di educazione sentimentale di Andretti che, invece, non sa chi è Cappai e soltanto alla fine saprà quello che ha fatto».

Ne rimane ammirato?
«Non lo so, perché sul finale anche Andretti si comporta da debole: ha in mano tutti i dettagli per chiudere la storia e pubblicarla, ma non la chiude e dà ad una terza persona che conosceremo solo alla fine del libro, la pesantezza della decisione. Neanche Andretti, un uomo che nella vita sembra non avere passioni, si prende la responsabilità. Era contento di scrivere sulle pagine sportive perché era più semplice e poteva anche godersi le partite. Da quando l'hanno sbattuto in cronaca nera detesta tutto quel mondo e all'inizio è anche un po' misogino».

Nel racconto lei richiama fatti che hanno sconvolto Bologna come la strage alla stazione, le rivolte studentesche, la morte di Francesco Lorusso...
«Bologna per me ha sempre rappresentato negli anni Settanta e Ottanta quando ero ragazzo, il fulcro delle contestazioni, ma anche la vittima delle dinamiche più oscure di questo Paese. Le bombe sono state un'orribile conclusione e la riapertura di ferite mai suturate. Bologna è meravigliosa, ma fa paura, soprattutto di notte, e mi sembrava perfetta morfologicamente per ambientarci questa storia di silenzi, segreti e solitudini. Le luci gialle di notte, le ombre che passano sotto i portici, sono presenze inquietanti. Anche nell'archivio c'è una presenza inquietante: le voci che turbano e allertano Cappai».

Si è davvero sempre responsabili di quello che non si è saputo evitare?
«Sì, sempre responsabili sia nel fare che nel non fare. Non partecipare è grave, ha la stessa responsabilità di quello che partecipa. Lo stesso vale per la vita. Se tu non fai una cosa sei responsabile quanto quello che la fa. Io mi sento responsabile di non aver fatto nulla per le persone che arrivano a Lampedusa, che provano ad arrivare a Lampedusa. Mi limito a guardarle e a star male. Dovrò preparare una risposta per quando i miei figli mi chiederanno dov'ero quando succedevano quei fatti drammatici, inumani».

Che cosa sta facendo al momento Rocco Schiavone dopo l'escursione in Sud America?
«Stiamo ultimando la sceneggiatura della nuova stagione e la produzione comincerà a girare fra due mesi circa per andare in onda il prossimo autunno. Sto lavorando anche a un nuovo romanzo con Schiavone. Furio Scarpelli, sceneggiatore cinematografico, uno di quelli che hanno fatto il cinema italiano e lavorava a tante sceneggiature contemporaneamente, sognava di avere una scrivania per ogni lavoro che aveva cominciato. Una grande stanza con tanti pianali perché secondo lui il luogo fisico gli ricordava quello di cui stava scrivendo. Anche a me piacerebbe avere un'altra scrivania: su quella dove c'è Schiavone ci sto lavorando e spero di finire presto ora che sono un po' più libero». 

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