Paolo Siani, Senza colpe: quei bimbi in carcere con le mamme

Un libro sui minori che crescono dietro le sbarre

Paolo Siani
Paolo Siani
di Ugo Cundari
Sabato 6 Gennaio 2024, 08:00 - Ultimo agg. 7 Gennaio, 09:09
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Arrestata per traffico internazionale di droga Alice, 33 anni, era detenuta a Roma, nella sezione nido del carcere di Rebibbia. Con lei i suoi due figli, Faith di 6 mesi, Divine di 18. La madre ripeteva che i suoi bambini, in cella, soffrivano. Doveva fare qualcosa per liberarli. Una mattina li prese in braccio e li scaraventò dalle scale del carcere. Faith è morta sul colpo. Divine dopo poche ore. All'epoca, nel 2018, i bambini innocenti detenuti nelle carceri italiane erano sessanta. Oggi il loro numero è diminuito di oltre la metà. Un anno aumenta, un anno diminuisce. Questi minori stanno dentro perché le loro madri sono state condannate. Scontano le pene materne. La prima parola che imparano dopo «mamma» è «apri». Un'ingiustizia denunciata dal pediatra Paolo Siani l'anno scorso alla Camera, con un'apposita proposta di legge ferma al Senato, e oggi nel volume a sua cura Senza colpe (Guida, pagine 120, euro 10) con le fotografie di Anna Catalano e gli interventi di esperti del settore, garanti dell'infanzia e dei diritti dei detenuti, e di uno scrittore come Lorenzo Marone che racconta la sua visita in un carcere irpino a detenzione attenuata dove sono presenti madri con bimbi, visita durante la quale ha conosciuto Melina, cinque anni, diventata la protagonista del suo romanzo Le madri non dormono mai (Einaudi, 2022).

La struttura ha le giostrine nei cortili, le guardie penitenziarie non indossano la divisa e non portano le armi, ma sempre un carcere rimane, «con le sbarre alle finestre e le porte blindate chiuse a chiave la sera alle 22, con barriere, grate, telecamere e serrature ovunque.

Perché la detenzione resta detenzione».

Samuele Ciambriello si chiede se esiste un punto di equilibrio tra carcere e maternità o meglio se sia compatibile essere madre ed essere detenuta. Gemma Tuccillo racconta la storia di Paolo, quattro anni. La mattina viene accompagnato a scuola, all'uscita riportato in carcere. I suoi compagni non lo sanno. Quando uno di loro gli chiede se nel pomeriggio possono vedersi per giocare lui risponde che non è possibile perché la madre ha mal di testa. Alla sua età «Paolo già ha provato la vergogna, già ha sentito la necessità di utilizzare la menzogna, già ha agito con complicità e istintivamente ha sentito il bisogno di proteggere una persona cara». Siani combatte perché i cosiddetti Icam, «Istituti a custodia attenuata per detenute madri», scelti solo in alcuni casi in alternativa alle strutture carcerarie tradizionali, siano sostituiti da case-famiglia, «una possibilità che la legge attualmente in vigore già prevede, ma che non essendo stata finanziata, non viene quasi mai applicata». 

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In questa condizione, «in assenza di alternative o di altri esempi da seguire, opportunità da sfruttare, sogni da realizzare» è più probabile che i bambini detenuti «diventino delinquenti seguendo le orme dei genitori in assenza di alternative o di altri esempi da seguire». Perché sia loro almeno concessa l'opportunità di diventare «scienziati, musicisti, attori, artigiani dipende dalla politica, dalla comunità che li accoglie e dalle chance che uno Stato giusto gli saprà offrire». 

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