Sepulveda in Napoletano con «'A gavina e 'o gatto»

Sepulveda in Napoletano con «'A gavina e 'o gatto»
di Ugo Cundari
Giovedì 24 Novembre 2022, 16:29
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Kengah è «na gavina cu 'e ppenne culore 'e ll'argiento, lle piaceva cchiù 'e ogn'ata cosa tené mente 'e bbandiere d' 'e nnave, pecché sapeva ca ognuna 'e chella rappresentava nu modo 'e parlà, d'annummenà 'e stessi ccose cu pparole diverze». Si tuffa in mare insieme agli altri uccelli per «n'abbuffata 'e sardine». Il gabbiano di vedetta grida l'allarme, Kengah non sente, si sporca di petrolio e, dopo varie peripezie, precipita sul balcone di una casa di Amburgo dove abita Zorba, «nu gatto gruosso, niro e cchiatto». Kenagh sta morendo, riesce a deporre un uovo e con le ultime forze chiede al gattone di promettere: «Ca nun te magnarraie ll'uovo, ca ne tenarraie cura fino a qquanno nun nasce 'o pullicino e ca 'o mpararraie a vvulà». Una volta nata, la piccolina è battezzata Furtunata. Cresce pensando di essere la figlia del gatto che, da buon genitore, deve insegnarle a volare, che «cunziste a vvuttà ll'aria primma addereto e po' abbascio».

Li avete riconosciuti? Sono i personaggi di Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare, celebre romanzo per ragazzi dello scrittore cileno Luis Sepúlveda uscito nel 1996. Li abbiamo descritti, riassumendo la vicenda, con le citazioni tratte dalla prima traduzione in napoletano, firmata da Claudio Pennino e appena pubblicata dalla Langella, con il titolo 'O cunto d' a gavina e d'o gatto ca 'a mparaie a vvulà (pagine 128, euro 16, illustrazioni di Federica Ferri). Mille copie di prima tiratura per una piccola scommessa editoriale che segue il filone dei grandi classici di favole tradotti nella nostra lingua, come Alice nel paese delle meraviglie e Pinocchio, napoletanizzate da Roberto D'Ajello, per citare gli episodi più recenti.

«La lingua napoletana si impone al mondo proprio per essere la lingua naturale delle favole, penso a Lo cunto de li cunti di Basile» dice Pennino, che ha lavorato al testo di Sepúlveda per sei mesi, traducendolo direttamente dallo spagnolo, condizione imprescindibile chiesta dagli eredi dello scrittore.
«Il napoletano si presta per sua natura a racconti fiabeschi grazie alla troncatura delle parole, alle finali mute o evanescenti che favoriscono la melodia, la scorrevolezza, l'armonia», continua Pennino.



Tra i personaggi napoletanizzati più riusciti c'è il gatto Diderot, consultato da Zorba per capire come può salvare la vita a Kengah ripulendolo dal petrolio e, successivamente, come si può insegnare a volare a Furtunata.

Diderot, l'intellettuale saccente, diventa Strolocosaputo, «nu gatto griggio, piccerillo e ssicco, ca passava quase tutt' 'o tiempo a sturià 'e migliare 'e libbre ca steveno llà», ossia da «Errico Bazzar d' 'o puorto». Molte le parole e le espressioni napoletane, scelte da Pennino per la traduzione, che suonano curiose, evocative, rare, magari ancora oggi usate ma delle quali pochi conoscono il vero significato.

«Agliummarato», ossia «rannicchiato», da «gliuommero» che vuol dire «gomitolo». «Usciola», «bussola», da cui l'espressione «S'è mbriacata a usciola», per indicare una situazione incomprensibile. La più evocativa è «scialacore», ossia «a soddisfazione», presente nel modo di dire «durmì a scialacore». Tra le più difficili da capire «verbograzia», corruzione latina di «per esempio», «addubbechiarse», che sta per «assopirsi», «caravuottolo» che vale «gabbia» e «cellechia'» per «solleticare».

«Tra l'anticipo per i diritti d'autore e il giusto riconoscimento a traduttore e illustratore, per non contare le spese vive, ho investito tanto in questo libro. Se fossi un libraio assennato avrei dovuto desistere, il problema è che per sua natura, un autentico libraio è folle e affamato», conclude Pasquale Langella, che ci ha tenuto a lavorare su una storia che «ha insegnato al mondo intero la necessità di amare il diverso, di abbattere ogni distanza di specie, cultura, etnia, pensiero».

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