Mario Tronti compie 90 anni: «La società non ha più senso, preferisco il convento»

Mario Tronti compie 90 anni: «La società non ha più senso, preferisco il convento»
di Generoso Picone
Mercoledì 21 Luglio 2021, 14:00
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Ha detto una volta: «C'è un luogo e c'è un tempo, nella vita monastica, che richiamano l'eterno. Per il far politica io ho una passione incontenibile. Ma anche in politica dev'esserci il cenobio e l'eremo. Fuga dal mondo e ritorno nel mondo». In queste parole si trova il motivo per cui Mario Tronti, il filosofo che non vuole sentirsi chiamare filosofo ma «militante che pensa la politica», comunque l'ex professore di Filosofia morale e Filosofia politica all'università di Siena, l'ultimo dei padri nobili della sinistra italiana frequentata dal Pci al Pd sempre in punta di eresia, lo studioso di Galvano Della Volpe e il padre dell'autonomia del politico nella sintesi tra Karl Marx e Carl Schmitt, l'operaista della «rude razza selvaggia» ha scelto di tornare nel monastero di Poppi. Qui, tra le monache camaldolesi nella valle aretina del Casentino, ha trascorso densissimi ritiri spirituali anche assieme a Pietro Ingrao e Rossana Rossanda. Qui oggi compirà 90 anni. 

Tronti, si trova bene in convento?
«Ne avverto il bisogno.

Io non sono né credente né non credente, ma la società pare aver perso senso, immersa in una condizione ipertecnologica che finisce per creare solitudine e alienazione».

Ha trovato quindi il luogo adatto da cui rilanciare uno sguardo critico sulla modernità?
«Anche. Il fatto è che io ormai vivo in un mondo che non mi piace, in un tempo che non mi soddisfa. Sono un pensatore del conflitto e delle contraddizioni, oggi però la società mi pare decisamente fuori controllo».

Questo non le sembra un tempo che esalta le contraddizioni?
«Io ho un'idea della Storia molto mobile, sono convinto che il suo sviluppo non sia lineare. Ho combattuto lo storicismo perché penso che la Storia possa regredire. Così è stato. Siamo alla restaurazione».

La Storia non è un cammino graduale che conduce al progresso ma un itinerario lungo il quale la forza operaia irrompe per diventare protagonista. Lei lo ha teorizzato in «Operai e capitale».
«Certo. Quel mio saggio è del 1966 e, nonostante possa ritenersi legato a un periodo particolare, è ancora letto e riletto, pubblicato in nuove edizioni nel 1971 e nel 2006. Ha rappresentato il fondamento dell'operaismo, con concetti che si sono imposti nel lessico politico. Continua a essere apprezzato dalle giovani generazioni: sarà perché, nonostante oggi siano scomparsi quegli operai e quel Capitale, ci sono invece i precari, i rider, i licenziati, gli autonomi con le partite Iva, un sociale disperso di persone che lavorano e soffrono. E, d'altra parte, la finanziarizzazione dell'economia ha prodotto dinamiche di sfruttamento addirittura più gravi di una volta».

La sinistra non è stata capace di svolgere un ruolo attivo?
«La sinistra mi pare decisamente molto in ritardo. Ha perso molti dei suoi valori tradizionali, non è più in grado di ragionare e dunque comprendere i cambiamenti. C'è una decadenza complessiva del ceto politico che ha provocato una subalternità».

Da quando?
«Dalla fine degli anni '80. Scomparso Enrico Berlinguer, non ha avuto più una direzione chiara e comprensibile, cambiando nomi e simboli fino a non sapere più che cosa sia. Il Pd ne è la prova».

Lei quando dice sinistra si riferisce principalmente al Pd. Ne è stato un esponente in Senato e ancora resta un militante.
«Io, nel mio tragitto politico, ho sempre assunto posizioni minoritarie, mai consegnandomi a scelte separatiste. Vengo dall'esperienza del 1956, con la lettera dei 101 contro l'invasione russa in Ungheria, e poi dall'eresia operaista dei Quaderni Rossi assieme a Raniero Panzieri, Alberto Asor Rosa, Massimo Cacciari e altri. Ho difeso un'idea di politica come rapporto di forza, non come una passeggiata».

La sinistra ha perso il popolo?
«Se il popolo si è trasformato in una massa indistinta la colpa non è sua. Il disorientamento che ha condotto ad affidarsi alla demagogia del M5S è dovuto all'assenza di una guida. Nel Sud si sta pagando il prezzo più alto. Per ragioni storiche: il populismo ha connotati precisi nel qualunquismo di Guglielmo Giannini e nella demagogia di Achille Lauro».

Napoli si appresta ad andare al voto amministrativo.
«Seguo Antonio Bassolino. Ammiro il suo atto di coraggio epico che lo spinge a candidarsi. Mi chiedo perché il Pd non abbia maturato l'intelligenza di capire. Mi rispondo con la motivazione che il Pd è un disastro, preda di logiche di potere local».

Ha un giudizio positivo su Mario Draghi. Perché?
«Ho salutato con favore la nascita del suo governo. Quantomeno perché ha messo fine all'insopportabile accrocco tra Pd e M5S. Con lui mi sento più tranquillo, sono convinto che i miliardi del Recovery Plan potranno essere spesi con raziocinio. Dopo i partiti dovranno darsi da fare per rifondarsi. La prospettiva non può non essere che il bipolarismo, ma con una sinistra che smetta di cinguettare e ritrovi se stessa». 

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