"Miseria puttana" di Massimo Boddi,
affresco di una provincia universale

"Miseria puttana" di Massimo Boddi, affresco di una provincia universale
di Giovanni Chianelli
Lunedì 10 Ottobre 2022, 11:27
3 Minuti di Lettura

“C’è qualcosa di eccitante, nel compiere quelle imprese alla luce del sole, che supera le buone regole di come è meglio stare al mondo”. In un frase, l’immagine di cosa vuol dire crescere in un dato periodo dell’esistenza e cosa significa farlo in provincia, in un posto a metà tra il paese e la città, tra il rione e l’acciaieria, nel momento in cui il Paese sta cambiando per sempre. “Miseria puttana” è un titolo forte e sta molto bene abbinato al primo romanzo che il redattore e autore toscano Massimo Boddi ha scritto, pubblicato da la Bussola edizioni. Racconto corale attorno una comunità che abita a Piombino, tra cui quattro ragazzi e il loro mondo fatto di anziani che vengono da epoche remote, adulti ingenui e mschini, amici in procinto di perdersi: nel 1994, anno cruciale per l’Italia e non solo perché si apre un periodo politico e culturale di cui ancora si sentono i cascami. È la stagione in cui è portata a compimento la trasformazione della nostra società che perde, definitivamente, l’identità rurale per non trovarne una moderna.

Racconto incessante, senza pause, di un luglio di 28 anni fa, come ricorda la fase finale di un Mondiale che ci vide protagonisti fino alla fine. Resoconto fresco e ben condotto dall’autore di storie minute eppure tanto emblematiche da rivelarsi universali: scorribande, atti di piccolo teppismo, traffici di droga, una ragazza che sembra perduta col nome di un’eroina del Vernacoliere, la mitica rivista satirica livornese, un omicidio dai contorni oscuri che diventa l’affare del momento solo perché stravolge il tran tran della vita di margine.

Bisognerebbe conoscerla meglio, l’aria dei luoghi lontani dal centro, per capire dove si sia fermata l’idea di sviluppo della nostra e altre nazioni; in questo il merito principale del volume, oltre a quello di una narrazione attenta al ritmo.

C’è un momento al centro del romanzo, ad esempio, in cui uno dei protagonisti, Simone, seguito da Boddi in una sorta di piano sequenza letterario, cresce passo dopo passo. Sta camminando, osserva degli operai sulla strada e si chiede come facciano a lavorare sotto al sole, poi affronta un gruppo di bulli e scopre che su una delle ragazze perdute, Maida, circolano voci non vere: lei è solo una delle tante vittime dell’accidia del piccolo centro dove basta una chiacchiera per rovinare reputazioni: “Veniamo al mondo coi fili attaccati addosso, ti spingono verso le scelte che vogliono loro e pretendono di comandarti su tutto. Scuola, lavoro, famiglia. Se sgarri, vai in carcere. Se sei diverso e lo fai vedere, ti riempiono di medicine per addormentarti i pensieri”.

È proprio un riferimento a Napoli a chiudere il cerchio sul senso del romanzo: si affaccia un personaggio che lavorava all’Italsider di Bagnoli appena chiusa, per via di un processo di dismissione del tessuto produttivo che accomuna vari punti d’Italia. E non è un caso se nel rispondergli una di queste figure, alla deriva ma che comunque cerca ancora di gridare con la sua lingua semplice - l’unica che il sistema gli ha concesso per esprimersi - il diritto di stare al mondo, sbotti, quasi senza motivo, “Miseria di una gran puttana!”.

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