Roberto Cotroneo, La cerimonia dell'addio: l'assenza-assedio
​e l'ultimo saluto

Se l'attesa è l'atteggiamento dominante nel romanzo, la parola letteraria si afferma nei termini del linguaggio in grado di esprimerne il senso

Roberto Cotroneo
Roberto Cotroneo
di Generoso Picone
Sabato 28 Ottobre 2023, 08:00 - Ultimo agg. 20:00
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La domanda che Amos ripete con meccanica assente insistenza irrompe nell'esistenza di Anna e apre una frattura nell'equilibrio dei suoi giorni: «È molto lontano il mare?». Amos è suo marito, hanno due figlie, Emma e Cecilia, insieme hanno coltivato il sogno di aprire una libreria. Vivono in una città della provincia italiana, assai prossima al mare di Viareggio che ben conoscono e frequentano spesso: perché allora Amos pone quell'interrogativo inquieto? Andranno a Roma per una visita specialistica e lì Amos vorrà lasciare da solo l'albergo per fare due passi in centro e quella sarà l'ultima volta che Anna lo vedrà. Perché non fa più ritorno, scompare, svanisce e si perde come risucchiato da un buco nero. L'anno è il 1976, non ci sono ancora i telefoni cellulari e le telecamere in strada, lui non ha documenti con sé e diventa complicato pure procurarsi una fotografia da consegnare ai Carabinieri per identificarlo. Gli amici trovano un vecchio negativo e provano a stamparlo nel buio del bagno di sviluppo, temendo che una luce improvvisa possa farlo sparire. «Non avevo mai stampato una fotografia. Non sapevo quanto somigli alla memoria: quanto sia fragile, delicata. Ha bisogno di buio e non dice mai il futuro».

La storia che Roberto Cotroneo racconta in La cerimonia dell'addio prende le mosse da una partenza verso il nulla e si sviluppa narrando l'infinito tempo dell'attesa.

Il titolo richiama quello di La cerimonia degli addii in cui Simone de Beauvoir nel 1981 ripercorreva l'ultimo decennio trascorso con Jean-Paul Sartre, morto l'anno prima. Una celebrazione che elabora un lutto, insomma, che qui però non diventa praticabile perché il lutto di Anna è paradossalmente incompiuto, incagliato a un mistero che non si svela e che anzi apre ulteriori spazi segreti. Quando è davvero scomparso? Perché lei non l'ha trattenuto, sapendo che correva il rischio di disperdersi? Potrebbe essere morto, ma anche fuggito, nascosto, dissolto, sottrattosi agli sguardi del mondo, incamminatosi nella «terra degli assenti», come scrive Cotroneo: che è «un luogo inaccessibile. Gli assenti tra loro si vedono, si parlano, commentano un mondo distante che continua ad aspettarli. Proteggono il nostro disordine».

La cerimonia dell'addio narra il trauma di una donna legata alla residua possibilità dell'attesa. Intanto Anna riavvolge il nastro della sua vita, recupera le sequenze degli anni condivisi con Amos, prova a indagare nel profondo del compagno, è sconvolta dal dolore e comunque resiste al lutto, non smonta le abitudini quotidiane che aveva con lui. Aspetta, e la sua attesa si dispone come una modalità di sopravvivenza, in una sorta di teatro dove le figure degli amici vanno ad assumere ruoli e significato simbolici - il medico, il regista, lo psicoanalista - e anche i volumi che riempiono la loro libreria acquistano una funzione importante. I poeti anticipano il futuro, «le parole dei libri si possono dimenticare ma restano capaci di riaffiorare dall'oblio», accompagnano nel passaggio di rovine, frammenti minimi e incoerenti di cui è fatta la vita.

Se l'attesa è l'atteggiamento dominante nel bel romanzo di Cotroneo, la parola letteraria si afferma nei termini del linguaggio in grado di esprimerne il senso. «L'assenza si protrae e bisogna che io la sopporti», si legge nei Frammenti di un discorso amoroso di Barthes e si ha l'impressione che Cotroneo abbia declinato la sua lezione, specie laddove si spiega che «l'assenza diventa una pratica attiva, un affaccendamento (che m'impedisce di fare altro); ha luogo la creazione d'una finzione con ruoli multipli (dubbi, rinfacciamenti, desideri, malinconie)». Ed è proprio il dispositivo che allontana la morte dell'altro, che ritarda «il più a lungo possibile l'istante in cui l'altro potrebbe, dall'assenza, piombare bruscamente nella morte». Succede ad Anna e, nel gioco di specchi che determina l'asse del romanzo, a Cotroneo il quale lo aveva già fatto in Otranto e in Loro - interroga i fantasmi e scava in un inconscio che è anche il suo. Espone un'intimità dolente e, a un certo punto della narrazione, interviene in prima persona, toglie la parola al suo personaggio e la prende lui. «Ho scritto questo romanzo per dire cosa ho perso»: ha subìto un lutto, la sua Federica è morta il 14 agosto del 2022, non ha fatto in tempo a vedere La cerimonia dell'addio.

La sua fine succede al termine del tempo dell'attesa che Anna decreta quando una mattina prende coscienza che Amos non ci sarà più. È la saggezza, la consapevolezza che come nei versi di Chandra Candiani ad esergo ribalta il cono dell'esistenza e fa dire che «in ogni addio c'è nascosto un benvenuto. Di sicuro, a uno spazio aperto, a un vuoto più ampio». 

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