Dorothea Burato, Emilio Federico Schuberth Moda e media ai tempi della Dolce Vita

La nascita del made in Italy, l'alta moda e il pret-à-porter

Emilio Federico Schuberth con le sue muse
Emilio Federico Schuberth con le sue muse
di Donatella Longobardi
Martedì 24 Ottobre 2023, 12:00
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C'è il rapporto tra cinema e moda, c'è la nascita del made in Italy, c'è la moda in televisione, l'alta moda e il pret-à-porter. E c'è l'Italietta del boom economico, il nascente jet set e le prime dive. Perché pochi come Emilio Federico Schuberth hanno interpretato e segnato un'epoca. Un'epoca in cui non c'erano gli stilisti e i designer ma i sarti, abili artigiani che con estro, buon gusto e con le loro mani, costruivano gli abiti addosso alle donne che li avrebbero indossati. Lo racconta ora Dorothea Burato in Emilio Federico Schuberth Moda e media ai tempi della Dolce Vita, un volume di recente pubblicato da Electa (pagine 127, euro 24) che ritrae il personaggio e il suo mondo grazie alle ricerche svolte sull'archivio Schuberth conservato presso il centro studi e archivio della comunicazione dell'università di Parma, un archivio della modernità dove, tra l'altro, sono stati catalogati e digitalizzati tutti i bozzetti e le fotografie del sarto le cui origini sono però ancora poco indagate.

Nato a Napoli l'8 giugno 1904, Emilio Federico fu riconosciuto dal padre Gotthelf Schuberth («un magnate ungherese») all'età di 15 anni. La madre, Fortuna Vittozzi, viene da più parti indicata come una nota ballerina di flamenco di origini spagnole.

Quel che sembra certo è che il giovane Emilio, che abitava nel cuore della Vicaria, avesse frequentato l'Accademia di Belle Arti anche se leggenda vuole che abbia studiato pure a Vienna e Shanghai.

Il cognome altisonante, la paventata parentela con il grande musicista viennese, hanno alimentato miti e leggende. Anche se Bonizza Giordani Aragno, studiosa del costume e della moda contemporanea, gli riconosce una «conoscenza sartoriale ereditata dalla scuola napoletana».

Esperienze che Schuberth portò in dote quando, con la giovane moglie napoletana Maria Jelasi, negli anni Trenta si spostò da Napoli a Roma, avviò una piccola modisteria e, nel secondo dopoguerra, conquistò regine e attrici con i suoi abiti creati nell'atelier di via XX Settembre.

Soraya e Maria Pia di Savoia, Gina Lollobrigida e Anna Magnani, Eva Peron e Sophia Loren frequentavano i salotti della maison dove Schuberth accoglieva le star con il suo stile inconfondibile. La camicia col colletto aperto, le unghie laccate, le dita piene di anelli, i cappotti foderati di cincillà, l'immancabile sigaretta...

«Quando si crea un vestito per una donna, si osserva il suo fisico, si studia la sua personalità e su questi dati si lavora, mentre nel cinema le cose sono diverse e si cerca di vestire un'immagine, non una persona, un'immagine che potrà diventare il modello di un'infinità di donne», raccontava il sarto in una delle tante interviste.

Perché i giornali, la nascente tv e il cinema erano al centro della sua attività, il mezzo attraverso il quale la sua popolarità raggiungeva donne di ogni ceto e ogni età che sognavano di poter avere, un giorno, uno di quei modelli indossati dalle dive. Eccolo, allora, interpretare se stesso in «Femmina incatenata» di Di Martino (1949) o realizzare gli abiti per «Margherita fra i tre» di Ivo Perilli (1942) o per «Noi siamo le colonne» di D'Amico (1956) e per la Loren in «La fortuna di essere donna» di Blasetti.

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È sempre lui a vestire la Lollo che interpreta Lina Cavalieri in «La donna più bella del mondo» e a creare i peplum di «Mio figlio Nerone» (Steno 1956). Con uno sguardo attento alla tv dagli speciali di «Appuntamento alle 10» al «Musichiere» fino ad «Aria condizionata» (1966) e a un filmato promozionale per le Ferrovie dello Stato, «Vedette 444», che coincide con il 68 e i drastici cambiamenti sociali imposti da quel periodo.

È la fine di un mondo, in quello nuovo le sue creazioni da boutique funzionano poco. Schuberth muore nel 1972, nel 2007 il marchio viene rilevato da un gruppo di imprenditori che ne rinnovano il gusto e portano la sede a Napoli, dove tutto era iniziato. 

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