Shakespeare e Montale: la traduzione inedita

Furono Paolo Grassi e Giorgio Strehler a volere quella traduzione del «Giulio Cesare»

Giorgio Strehler prova il Giulio Cesare di Shakesperare/Montale nel 1953
Giorgio Strehler prova il Giulio Cesare di Shakesperare/Montale nel 1953
di Francesco Mannoni
Giovedì 19 Ottobre 2023, 07:00 - Ultimo agg. 18:16
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Dagli archivi del Piccolo Teatro di Milano è emerso il brogliaccio della traduzione integrale del «Giulio Cesare» di Shakespeare fatta da Eugenio Montale nel 1953, mai pubblicata. Per necessità, nella nebbiosa Milano che per lui rappresentò la deprecabile «incomunicabilità di massa», il poeta si fece traduttore di cinque opere shakespeariane. Dopo il licenziamento dal Gabinetto Vieusseux di Firenze (1938) aveva necessità di guadagnare, e fin quando non fu assunto al «Corriere della Sera» cercò di sbarcare il lunario come meglio poteva. Shakespeare lo impegnò, soprattutto il «Giulio Cesare» che definì «un dramma ideologico in cui gli uomini incarnano i principi più grandi di loro», nella cui traduzione noi ora ritroviamo gli echi di una lotta fra giganti.

Pubblicato dalle edizioni Interlinea a cura di Luca Carlo Rossi, docente di letteratura italiana all'università di Bergamo, il «Giulio Cesare» del Premio Nobel ha anche conosciuto l'onore di una serata di gala, al Piccolo, naturalmente.

Il poeta non pensò mai di pubblicare la sua traduzione e la lasciò in dono a Gina, la sua governante. «Ma è una bella traduzione che merita di essere conosciuta anche dai lettori», spiega Rossi. «Forse Montale non aveva voglia di rimetterci mano in vista di una pubblicazione, ma certo non sarebbe stato contrario, ne parlò spesso anche in interviste di anni successivi.

Andò in scena per una settimana di recite durante la stagione 1953 -54 con la compagnia del Piccolo, poi fu portata anche in molte altre città italiane e in Sud America».

Per l'uomo di Ossi di seppia le traduzioni era «pot boilers», un modo per sopravvivere, magari con l'aiuto di amici ed amiche che gli versioni di servizio a cui aggiungere le sue pennellate. Una volta diventato redattore le lasciò perdere, al massimo si concesse pochi sfizi, come traduzioni ritmiche di libretti per musica.

A volere quella traduzione del «Giulio Cesare» furono Paolo Grassi e Giorgio Strehler: «La proposta del lavoro arrivò a Montale, dopo vari tentativi falliti di collaborazione col Piccolo, a fine agosto, mentre era presidente della giuria della Mostra di Venezia», ricorda Rossi. «L'inizio delle prove era fissato per il 15 ottobre e lui sembrava un po' in ritardo, e questo preoccupava Grassi e Strehler. Fu un tour de force ma portò a termine la traduzione nei tempi stabiliti con ottimi risultati». 

«Il male che gli uomini fanno, sopravvive ad essi; il bene è spesso sepolto con le loro ossa, e sia così di Cesare», tradusse don Eugenio nel suo inconfondibole stile: «Anche nelle altre quattro opere teatrali di Shakespeare da lui tradotte, si mise al servizio dell'autore ma è evidente il suo tono, il suo ritmo, un ritmo, una scelta espressiva che rimanda ai suoi versi originali. Succede quando avverte sintonia con il Bardo, di cui tradusse anche alcuni sonetti, ma solo per il piacere di farlo».

Prima di lui anche l'altro poeta Nobel italiano, Salvatore Quasimodo, aveva tradotto opere di Shakespeare, una scelta di campo della coppia Strehler-Grassi. Nel 1953, anno di realizzazione del «Giulio Cesare», Montale stava lavorando al suo terzo libro poetico, La bufera e altro, piena di immagini di una guerra che è insieme quella cosmica e quella mondiale. Si sospettà, si disse, si insinuò non fosse lui il traduttore, e il curatore del libro spiega perché: «Bisogna applicare a questo ambito il concetto che si usa per i pittori che fanno preparare la base dagli artisti di bottega e poi lo completano, rendendolo opera propria. Certo, Montale consultava altre traduzioni, ma questa è prassi normale per chi traduce, soprattutto i classici. Ma conosceva bene l'inglese e ancor meglio il francese, sapeva come cavarsela». 

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