Eugenio Montale e il «grattacielo», l'invettiva sull'ecomostro di Vietri sul Mare

La dimensione ecologica è inserita in una riflessione più complessa di interrogazione sui destini ultimi dell'umanità

Eugenio Montale
Eugenio Montale
di Francesco Mannoni
Venerdì 16 Febbraio 2024, 07:00 - Ultimo agg. 17 Febbraio, 06:49
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«Pare che prima o poi/ anzi prima che poi/ sugli Aliscampi che splendono/ tra Amalfi e Vietri si vedranno enormi/ grattacieli e già sorge dalla cintola insù/ l'intellighenzia, coi suoi alti piati./ Ma saranno sprecati; grattare il cielo/ è ciò che resta a chi non creda più/ che un cielo esista»,

È intitolata I grattacieli questa poesia inedita di Eugenio Montale (Genova 1896, Milano 1981) ritrovata da una studiosa tra le carte conservate al Centro manoscritti dell'università di Pavia che Maria Corti (1915 -2002) aveva fondato nel 1980. La breve poesia si riferisce alla costruzione dell'hotel Fuenti, uno dei maggiori ecomostri della storia urbanistica italiana, costruito abusivamente negli anni Settanta in località Fuenti, a Vietri sul Mare, a poi demolito nel 1999.

Per risorgere, nel rispetto della natura stavolta, nel 2019. 

Oltre a questa importante novità, l'annuario n. 3 dei «Quaderni Montaliani» (Interlinea, pagine 164, euro 25), contiene tra i vari interventi un saggio di Enrico Tatasciore su «Montale traduttore di Shakespeare» e la ricostruzione di un reportage su alcune città italiane scritto per il «Corriere della Sera» tra la fine del 1953 e l'inizio del 1954: recuperato il secondo dei due articoli dedicati a Napoli, città in cui «un poeta può morire senza che i sopravvissuti ne ridano.» A Napoli, il poeta è colpito «dalla solidarietà che unisce gli uomini che hanno anche semplicemente sfiorato il mondo di Croce». A curare la pubblicazione, Stefano Verdino, docente di letteratura italiana all'università di Genova e curatore dell'annuario oltre che autore di un sentito Ricordo di Bianca Montale, nipote ed erede del poeta, scomparsa l'1 marzo del 2023.

«Dobbiamo pensare a chi fece a Montale la richiesta di una poesia», premette Verdino: «Elena Croce, primogenita di Benedetto, saggista di rango e tra i primi ambientalisti in Italia negli anni '60. Montale rispose con questo abbozzo, che non pubblicò. Ma la sua attenzione al degrado del paesaggio è attestata anche da alcuni versi come “Al mare (o quasi)” nel Quaderno di quattro anni «Il mare è d'altronde infestato/ mentre i rifiuti in totale/ formano ondulate collinette plastiche/ esaurite le siepi hanno avuto lo sfratto/ i deliziosi figli della ruggine/ gli scriccioli o reatini come spesso/ li citano i poeti».

Un Montale ecologista ante sembrerebbe, tanto che in un'intervista del '73 su «Epoca» disse: «Tornando a ciò che l'uomo e stato ed è in questo secolo, lei lo sa, oggi si pensa in termini di ecologia, che poi è una forma di escatologia. Anche per l'uomo possono crearsi situazioni nel mondo che renderebbero la vita primordiale, inaccettabile: possono sorgere epidemie, malattie nuove. Oppure l'uomo può distruggersi da solo, con le sue mani, la bomba atomica o altro. Si è sempre così sciocchi da attenuare le cose, e dire di sé: in fondo io sono l'ultimo uomo che ha potuto cavarsela abbastanza bene, dopo chissà che cosa succederà. Pero questo modo di pensare è ora talmente comune che sentirei il bisogno di contrapporre l'inverso». 

La dimensione ecologica è inserita in una riflessione più complessa di interrogazione sui destini ultimi dell'umanità: «Montale è un classico, e più ci si distanzia da lui, più risalta la sua sfaccettata grandezza, anche nel recupero del Montale giornalista, che merita spicco per una capacità di sigla nella sua prosa corrente sul quotidiano, ineguagliabile. Penso anche al Montale critico musicale, di cui ora sono raccolti le cronache dei Concerti alla Scala (Il Canneto editore), finora dispersi sul Corriere d'Informazione. Quanto al peso del poeta potrei dire che il verso montaliano realizza un “pensiero poetante” di misura europea, che lo apparenta ai massimi del secolo scorso (Rilke, Valéry, Eliot), pur nelle cospicue differenze. È riuscito a declinare il verso italiano con un accento tutto suo, sia nel primo tempo, in stile tragico, sia nel secondo, da Satura, in stile comico, Tutti i poeti italiani, per lo meno per due generazioni hanno dovuto attraversarlo, come lui diceva di aver attraversato D'Annunzio. Sul superamento non mi esprimo, anche perché il termine non mi pare corretto per la storia della poesia. In ogni caso dopo Montale, non sono mancati poeti, che pur partendo da lui, hanno poi svolto con voce propria i propri versi: Luzi, Caproni, Zanzotto sono i primi nomi che mi vengono in mente». 

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