Giuliano Malatesta, A Barcellona con Manuel Vázquez Montalbán a 20 anni dalla morte

Emotivo prima che topografico, il viaggio comincia proprio dalla piazza dedicata a Montalban dentro uno dei quartieri storici di Barcellona, Raval

Manuel Vazquez Montalban
Manuel Vazquez Montalban
di Leonardo Guzzo
Martedì 17 Ottobre 2023, 07:00 - Ultimo agg. 16:10
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«Nell'orgia di cemento che è la plaza dura Manuel Vazquez Montalban, Pepe Carvalho si fermerebbe solo per pisciare dopo una robusta mangiata in una trattoria del Raval. ... Essere ricordati così male è peggio che essere dimenticati. Quasi un falso storico, come ricordare un astemio con un monumento fatto a bottiglia di vino». L'ispirata prefazione del compianto Gianni Mura fissa subito lo standard del bel libro di Giuliano Malatesta, A Barcellona con Manuel Vázquez Montalbán, pubblicato da Giulio Perrone Editore a vent'anni dalla morte del grande scrittore catalano. 

Il viaggio di Malatesta, emotivo prima che topografico, comincia proprio dalla piazza dedicata a Montalban dentro uno dei quartieri storici di Barcellona, quel Raval dove lo scrittore era nato nel 1939, al numero 11 di calle Botella, in un condominio poverissimo dove mancavano, all'inizio, perfino acqua ed energia elettrica.

Affacciato a quel palazzo, «el niño del balcon» guardava gli altri bambini giocare a calcio, «presente ma sempre un passo indietro», maestro nell'arte di scomparire per scrutare.

«Per ripercorrere la Barcellona di Montalbán», avverte Malatesta, «occorre lavorare di fantasia, divincolarsi dai luoghi comuni che imprigionano la città e giocare con la memoria». Magari aiutandosi con le descrizioni e gli indizi di cui lo scrittore dissemina tutti i suoi libri, magari appellandosi all'interpretazione autentica di Anna Salles, la moglie di «Manolo» rimasta a vivere nel loro nido, una casa anni Trenta che guarda il Mediterraneo dalla collina di Vallvidrera. Ravel, il Barrio Chino, quasi non esiste più: travolto dal «desarrollismo», lo slancio dissennato alla modernizzazione che ha cambiato i connotati a Barcellona. 

La «spietata ramazza», la chiama Gianni Mura, che ha strappato la città dalla parentela stretta con la Genova dei carrugi e la Napoli dei Quartieri Spagnoli. Tutto il libro è diviso tra la malinconia di ciò che è perduto e il sottile piacere che proprio questa perdita renda più incerto il confine tra realtà e letteratura e più avvincente la loro confusione. Allora i passi di Montalbán si mescolano con quelli di Pepe Carvalho, la sua creatura più celebre, il cinico investigatore appassionato di cucina, innamorato di una prostituta, incendiario seriale di libri, marxista disilluso ed ex agente della Cia.

Nel memorabile personaggio del «giovanotto nato anziano» lo scrittore riversa la sua concezione quasi gramsciana della «novela negra»: genere popolare per eccellenza, perfetto per veicolare al grande pubblico ogni sorta di questione filosofica e sociale. Nella Barcellona di Montalbán e di Carvalho si va alla Casa Leopoldo per mangiare il bollito di manzo, vitello e orecchio di maiale, si cerca la centrale della polizia franchista, dove Montalbán fu detenuto nel 1962 prima di essere condannato a tre anni di carcere per aver cantato «Asturias patria querida», la canzone dei borrachos diventata inno di libertà. Non può mancare una visita alle spoglie del Boadas e del Bocaccio, templi della movida pop barcellonese negli anni Sessanta, al Camp Nou dell'amato «futbol club Barcellona», ai luoghi tetri che evocano Francisco Franco, di cui Manolo scrisse un'apocrifa autobiografia.
Ricchissimo di dettagli e spunti, il libro di Giuliano Malatesta è una lezione sulla capacità della letteratura di cristallizzare il tempo. Di catturarlo, nei lineamenti e più nello spirito, di offrire alle cose una possibilità di sopravvivenza al di là dell'usura naturale e dell'umana smania (più o meno giustificata) di rinnovamento. Dimostra quanto i libri di Montalbán siano una mappa storica e un forziere emotivo, felice rappresentazione di molte gioie, denuncia e redenzione di tanti squallori. 

È lo stesso Manolo a suggerirci l'omaggio più veritiero al suo genio. Un gesto piuttosto che un tributo fermo: posare una rosa sul bordo della fontana di Santa Eulalia. Il fascino di Barcellona è quello dei porti di mare, trangugiati e ruminati dalla storia: la vita delle cose, la memoria che custodiscono e la suggestione che provocano.

Quando la suggestione è forte, produce fantasie più vere delle pietre, e gravide di altre suggestioni. Finché si leggeranno i libri di Montalbán come una carta geografica l'anima sarà salva. Parafrasando l'avviso in codice dell'alzamiento di Franco, si potrà dire: «Su Barcellona il cielo è senza nubi». 

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