Starnone, un'educazione sentimentale. Anzi, linguistica

Starnone, un'educazione sentimentale. Anzi, linguistica
di Generoso Picone
Martedì 12 Ottobre 2021, 10:02
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Il bambino alla finestra ha due ossessioni: trovare la fossa dei morti e conoscere la ragazzina che danza sul balcone di fronte. In fondo l'ossessione è una sola. Lui sogna di immergersi sottoterra alla maniera di Orfeo che va a recuperare la sua Euridice, scansando topi e scarafaggi senza mai girarsi a guardarla. Euridice, cioè la sua fidanzata, come un giorno chissà potrebbe essere la ballerina che intanto ammira estasiata nei giri di carigliòn tra i fiori colorati e sempre toccati dal sole. Lei è la bambina milanese e così sarà nominata fino a un certo punto, milanese non è ma gli sembrerà perché parlava l'italiano più bello e preciso mai sentito. Un giorno scompare, il suo ricordo verrà annebbiato come nel grigio delle tavole di Gustave Doré che illustrano la Commedia di Dante, la discesa agli inferi nella fossa dei morti. Il suo profilo resta comunque impresso nella mente del bambino alla finestra e la sua storia scritta resisterà al tempo. Diventerà immortale.

Vita mortale e immortale della bambina di Milano è il nuovo libro di Domenico Starnone (Einaudi, pagine 145, euro 16,50): un racconto lungo che si muove in un campo segnato dalle presenze della vita e della morte, dell'amore che tiene in vita e della morte che così viene sconfitta, in una sorta di continuità ciclica tra le due dimensioni saldate nell'esercizio dell'immaginazione. «Ci innamoriamo di persone che sembrano vere ma non esistono, sono una nostra invenzione», confessava Pietro, il protagonista di Confidenze, il romanzo di Starnone di due anni fa. Qui il bambino Mimì spiega che «per le mie invenzioni ho sempre avuto bisogno, fin da piccolo, di un pizzico di verità» e dal balcone della sua casa al Vomero c'è il ritorno dalle parti di via Gemito, nell'infelicità costitutiva di quell'infanzia napoletana colta negli anni '50 e scandita nella formazione attraverso malsopportate febbri di crescenza impara a prendere le misure dell'esistenza inseguendone il senso. Che si delinea, quasi si rivela, soltanto raccontandola, nel recupero dei ricordi e nell'invenzione della memoria, «la sede delle nostre prime narrazioni, quelle che chiamiamo ricordi o rimembranze, le più emozionanti e le più ingannevoli». Una volta Walter Siti ha detto che ogni romanzo è una riedizione dell'Interpretazione dei sogni di Sigmund Freud. Per Starnone ogni narrazione è un viaggio nello spazio della fantasia: in fondo, la vita è meglio se inventata.

Tutto acquista un significato soltanto attraverso la scrittura. Mimì, nell'infanzia degli amori complicati, bellissimi e traumatici, delle amicizie complici con Lello, nei giochi di fantasia e nei tentativi di accedere alla fossa dei morti schiodando il tombino del cortile di casa, ha al suo fianco l'impareggiabile figura della nonna: una giovane nonna, tra i 40 e i 50 anni, divenuta prestissimo vedova e rimasta legata al marito in un amore che rompe le paratìe tra la vita e la morte. È lei ad accompagnare e accudire il nipote fino a consegnargli la lingua con cui esprimersi e dunque essere.

Se a scuola il maestro Bendagosti fornisce a Mimì le nozioni e gli incoraggiamenti a coltivare il suo talento poetico, è a casa, in cucina, sul balcone, che la nonna l'aiuta a costruirsi termini, grammatica e sintassi capaci di catturare la realtà e manifestare i suoi sentimenti. Tra un franfellìk» e un «petrusinogmenèst», un «vienaccàbelloranònna» e un «temiéttestisentèrrennúnrispíricchiú», un «nunmevulevostafermonupoco», un «laggepigliatío» e un «vafammóccammàmmeta», declina l'affettuoso e tenerissimo sciorinare di «univerbazioni», il lessico del dialetto che ipercaratterizza e permea la scrittura di Starnone. La sua pagina riesce così a rendere con straordinaria efficacia il tono di un'atmosfera, i colori di un ambiente, la temperatura di un momento, in una maniera anche più intensa delle altre occasioni da Via Gemito in poi dove pure la scelta assumeva un valore simbolico importante. Valga per tutte la reiterazione dell'intercalare scatologico e liquidatorio «strunz», culmine della vita agra e delle turbolenze emotive di Federì.

La lezione che Mimì, da studente universitario non a caso di glottologia, acquisisce ed espone nella conversazione con Nina, la fidanzata inevitabilmente destinata a scadere a ex, è che «la lingua non è statica, la lingua si sgretola, e con lei la scrittura»: «Prendi la bambina di Milano. Ricordo di lei pochissime parole che però sento ancora nitidamente in qualche area del cervello. Dentro quell'eco mi sembra che le sue vocali non coincidano per niente con le cinque solite, e temo che se chiudessi le sue rare frasi nell'alfabeto, quel po' di voce che ho nella memoria morirebbe definitivamente». La scrittura conserva la sua affidabilità, appare l'unica possibilità di sfuggire all'impressione di spreco dei propri giorni: «Esprimevo con poesiole e storielle soprattutto quel bisogno di perire prima che i fallimenti e le delusioni mi portassero in ogni caso al deperimento».

Quando il piccolo Mimì comunica alla nonna la sua intenzione di calarsi nella fossa dei morti, lei di rimando: «Esinummefannovenì?». C'è la cifra del racconto in quest'espressone, il sigillo che racchiude l'animo di un personaggio e il nucleo fondante della storia: la lingua aiuta nella realtà, la scrittura può trasportare altrove. Come Orfeo che salva Euridice.

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