Monsignor Forte: «Fratelli tutti, così papa Francesco ha scritto l'Enciclica della rivoluzione dell'amore ai tempi del Covid»

Monsignor Forte: «Fratelli tutti, così papa Francesco ha scritto l'Enciclica della rivoluzione dell'amore ai tempi del Covid»
di Donatella Trotta
Martedì 6 Ottobre 2020, 21:02
7 Minuti di Lettura
Interdipendenza. Condivisione generosa. Amore generativo. E corresponsabilità collettiva. Dopo l’Enciclica Lumen fidei (2013), centrata sulla fede in continuità con il magistero di Benedetto XVI, e dopo la francescana Laudato si’ (2015) sulla cura della casa comune, le parole chiave dell’attesa terza Enciclica di papa Francesco, Fratelli tutti – appena pubblicata e firmata non a caso ad Assisi – sembrano connotare un’utopia, o, per dirla con don Tonino Bello, una eutopia comunitaria troppo spesso smentita dai fatti, nel mondo globalizzato messo in ginocchio dal Covid.

Ne parliamo con il teologo Bruno Forte, arcivescovo di Chiesti-Vasto, autore di una prefazione al testo pontificio in uscita il 12 ottobre per Scholé, Morcelliana, che in un’intervista del 28 aprile 2014 sul mattino.it - in occasione della solenne canonizzazione dei papi Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II - aveva identificato nel “Pontefice della globalizzazione” Jorge Mario Bergoglio, gesuita argentino discendente di migranti piemontesi, significative linee di continuità e differenza tra i due predecessori: l’italiano Roncalli (pastore della bonarietà e della tenerezza) e il polacco Wojtyla (leader di statura mondiale), comunque entrambi radicati soprattutto in Europa. «Papa Francesco – il commento di monsignor Forte allora - è una sintesi prodigiosa di questi suoi due predecessori. Nella sua figura e nella sua missione mi sembra universalizzare il carisma dei due Pontefici santi, e il loro messaggio unificante nella diversità: tanto l’annuncio sanante dell’amore nei confronti di tutti, e in particolare dei più deboli, tanto il senso della forza rivoluzionaria dell’amore nei confronti dei sistemi totalitari e di tutte le ingiustizie sociali ed economiche, tanto nello scenario delle iniquità di molti Sud del mondo, compresa l’America Latina dalla quale Bergoglio proviene, quanto nelle critiche alla società post-capitalistica con il suo edonismo, individualismo e consumismo».

Ora, la nuova corposa Enciclica di Francesco, dal non casuale sottotitolo Sulla fraternità e l’amicizia sociale, mette a fuoco e condensa molti dei temi centrali del suo pontificato di una “Chiesa in uscita”, “ospedale da campo” aperto agli “scarti” umani delle periferie geografiche ed esistenziali. Denuncia i guasti di un sistema mondiale troppo a lungo disattento ai pilastri della dottrina sociale della Chiesa, alla salvaguardia dell’ambiente, alla pace, alla giustizia e al rispetto dei diritti umani fondamentali. Ribadisce i quattro verbi essenziali per rispondere alle sfide poste dai flussi migratori (accogliere, proteggere, promuovere, integrare). E interpella così le coscienze dei contemporanei con una forza accentuata dall’attuale periodo di inedita emergenza pandemica in cui – davvero – «nessuno si salva da solo».  

Monsignor Forte, papa Francesco è un sognatore o un provocatore delle coscienze anestetizzate dall’egoismo?
«È un credente convinto che “i sogni si costruiscono insieme”, come disse ai giovani nell’Incontro ecumenico e interreligioso di Skopje del 7 maggio 2019. In lui si avverte il richiamo di una frase cara a dom Helder Camara, vescovo di Recife tanto impegnato accanto ai poveri del Brasile: “Beati quelli che sognano: porteranno speranza a molti cuori e correranno il dolce rischio di vedere il loro sogno realizzato!”».
 
Questa Enciclica affronta un tema cruciale ma disatteso - la fraternità - che ha non pochi precedenti storici, sia nell’orizzonte laico (della Rivoluzione francese, ad esempio) sia in quello religioso e teologale: in che solco va collocata per una corretta interpretazione?
«La “fraternità” quale messaggio centrale del cristianesimo era stata riproposta nel 1960 da un allora giovane teologo, Joseph Ratzinger, futuro Papa Benedetto XVI, in un piccolo libro, intitolato Fraternità cristiana, il cui scopo era il superamento tanto dell’universalismo della fraternità, proclamato dalla rivoluzione francese (“liberté, égalité, fraternité”) e ripreso dalle ideologie della modernità, quanto di una visione “élitaria”, secondo cui la fraternità sarebbe possibile solo in gruppi chiusi e autoreferenziali. La fraternità cristiana è invece al servizio del tutto ed esige la tensione universalistica della missione, inseparabile da rapporti concreti, caratterizzati da rispetto e generosità. Anche Papa Francesco è più volte ritornato sul tema della fraternità: lo ha fatto nell’Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium (2013), come nell’Enciclica Laudato si’ (2015), e in particolare nel testo sottoscritto col Grande Imán di Al-Azhar Ahmad Al-Tayyeb, intitolato Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune (4 febbraio 2019). Si tratta di un motivo decisivo, in alternativa “alle politiche di integralismo e divisione e ai sistemi di guadagno smodato e alle tendenze ideologiche odiose, che manipolano le azioni e i destini degli uomini”».
 
In questo momento di drammatica crisi globale, accentuata dalla pandemia da Covid, quali sono, a suo avviso, i contenuti più salienti degli otto capitoli dell’enciclica che possano costituire una chiave di lettura non soltanto del testo, ma anche del magistero papale?
Esplicitamente l’Enciclica si rifà al Poverello di Assisi: "Fratelli tutti, scriveva San Francesco per rivolgersi a tutti i fratelli e le sorelle e proporre loro una forma di vita dal sapore di Vangelo" (n. 1). "A lui si deve la motivazione di queste pagine" (n. 4). Si corrobora così l’idea che al cuore di questo Pontificato vi sia un’etica sociale declinata nella corresponsabilità di tutti verso una ecologia integrale, specchio di un umanesimo basato sul rispetto della dignità umana. Non si tratta di una visione soltanto politica e sociale: l’Enciclica ha una densa radicazione teologica e trinitaria, più volte evidenziata col richiamo all’unico Dio e Padre di tutti, all’azione dello Spirito Santo, artefice di autentica fraternità nei cuori, e all’opera del Signore Gesù, fonte e modello di relazioni vissute nella carità verso tutti».
 
Che influenza ha avuto, nella stesura di questo testo che sembra quasi una summa dei temi cari a papa Francesco, la teologia argentina, radice della formazione di Bergoglio?
«Non è difficile riconoscere nell’Enciclica l’impronta del mondo in cui Papa Francesco ha trascorso la maggior parte della sua vita. In particolare, sono chiare le influenze della “teologia del popolo” argentina, che Bergoglio ben conosceva. Riprendendo motivi della “teologia della liberazione” essa ha preso le distanze da categorie marxiste, come la lotta di classe, per affermare la centralità dell’opzione preferenziale per gli esclusi e l’attenzione al popolo come categoria “poliedrica”, in cui ogni cultura deve essere rispettata nel suo potenziale contributo all’umanità intera, mentre le differenze vanno valorizzate nel dialogo e nella condivisione».

Valori tuttavia a serio rischio: «La storia sta dando segni di un ritorno all’indietro. Si accendono conflitti anacronistici che si ritenevano superati, risorgono nazionalismi chiusi, esasperati, risentiti e aggressivi», scrive il Papa al n. 11.  Non a caso il capitolo V è dedicato alla “migliore politica”, con un richiamo forte anche al ruolo dei media, nella costruzione di una “cultura dell’incontro” minacciata da inedite sfide, anche sanitarie, del presente: ma come realizzare il sogno di giustizia, riconciliazione e pace non irenica di Francesco?
«Papa Francesco identifica “la migliore politica” con quella “posta al servizio del vero bene comune. Purtroppo, invece, la politica oggi spesso assume forme che ostacolano il cammino verso un mondo diverso” (n. 154). La via per realizzare una politica autentica è quella di promuovere un lavoro dignitoso per tutti: “Il grande tema è il lavoro. Ciò che è veramente popolare - perché promuove il bene del popolo - è assicurare a tutti la possibilità di far germogliare i semi che Dio ha posto in ciascuno, le sue capacità, la sua iniziativa, le sue forze” (n. 162). A tal fine, “oltre a riabilitare una politica sana non sottomessa al dettato della finanza, dobbiamo rimettere la dignità umana al centro e su quel pilastro vanno costruite le strutture sociali alternative di cui abbiamo bisogno” (n. 168). In questa luce, l’Enciclica auspica forme di “potere internazionale” riconosciute, al servizio della giustizia per tutti, e «una politica che pensi con una visione ampia, e che porti avanti un nuovo approccio integrale, includendo in un dialogo interdisciplinare i diversi aspetti della crisi” (n. 177). Ciò che urge, insomma, è un “cambiamento ormai improrogabile”, al cui servizio Francesco ha voluto questa Enciclica sulla fraternità e l’amicizia sociale, che risuona sì come un grido d’allarme, ma anche come un appello ricco di fede e di speranza per tutti».

Una speranza di cui c'è particolare bisogno, in un mondo dove, ogni giorno, e non solo in Italia, sembrano prevalere logiche di sopraffazione, utilitarismo e violenza... Come ribaltarle?
«Nel settimo capitolo dell'Enciclica, intitolato "Percorsi di un nuovo incontro", il Papa offre gli strumenti. Ad esempio, attraverso l'esercizio di una "memoria penitenziale, capace di assumere il passato per liberare il futuro dalle proprie insoddisfazioni, confusioni e proiezioni", perché "solo dalla verità storica dei fatti potranno nascere - afferma - lo sforzo perseverante e duraturo di comprendersi a vicenda e di tentare una nuova sintesi per il bene di tutti" (n. 226). Certo, è un impegno. Che dura nel tempo, e va coltivato: "un lavoro paziente di ricerca della verità e della giustizia, che onora la memoria delle vittime e che apre, passo dopo passo, a una speranza comune, più forte della vendetta", dice il Papa, perché "la vera riconciliazione non rifugge dal conflitto, bensì si ottiene nel conflitto, superandolo attraverso il dialogo". In quest'ottica il perdono non è cancellare la memoria, ma viverla in maniera purificata dal bene. Scrive infatti Francesco: "Quanti perdonano davvero non dimenticano, ma rinunciano ad essere dominati dalla stessa forza distruttiva che ha fatto loro del male. Spezzano il circolo vizioso, frenano l'avanzare delle forze della distruzione" (n.262)».
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