Lavoro, un crollo lungo dieci anni: disoccupati da 34mila a 113mila

Lavoro, un crollo lungo dieci anni: disoccupati da 34mila a 113mila
di Nando Santonastaso
Martedì 1 Maggio 2018, 08:00
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Da una parte c'è la Napoli di Tecno, gruppo fondato venti anni fa in città e leader dei servizi di risparmio energetico per le imprese, che annuncia di aver assunto trenta giovani talenti con competenze professionali 4.0 nei suoi organici. E dall'altra c'è la Napoli dei record assoluti di senza lavoro, quella del 56 per cento di disoccupati nelle aree della periferia nord, da Secondigliano a Scampia, di cui oltre il 60 per cento donne. La capitale meridionale delle contraddizioni occupazionali tocca estremi impensabili e introvabili altrove. Qui, come anche di recente ha certificato l'Istat, si passa con sconcertante naturalezza da competenze eccellenti per innovazione e ricerca a sacche di disperazione che fanno sempre più rima con la povertà e il disagio sociale. E con punte di emigrazione, soprattutto giovanile, che sono l'ennesima emergenza in un quadro già pesante, quasi condannato a non offrire occasioni di normalità. In quella percentuale di disoccupati, infatti, si nascondono anche le cifre di chi ha fatto le valigie e cercato la fortuna al Nord o in Europa, conservando la residenza però a Napoli e in provincia. Sono i cervelli che scappano da un sistema che continua ad offrire loro poco o nulla sul piano lavorativo ma dal quale non vogliono prendere definitivamente le distanze, magari sottoponendosi allo stress di un pendolarismo estremo, migliaia di chilometri ogni settimana per ridurre le spese di soggiorno. E' per questo che l'1 maggio anche a Napoli ha ormai perso da tempo i connotati della Festa del lavoro. Retorica a parte, sono i dati a dimostrare quanto sia ancora lontanissima da queste parti la possibilità di un incontro stabile e produttivo tra domanda e offerta di lavoro pur essendo stati incrementati negli ultimi mesi i livelli numerici di chi un impiego è riuscito a trovarlo grazie agli incentivi nazionali e regionali legati soprattutto al Jobs act.
 
Perchéquesta è anche la terra in cui resta difficile cercare profili specifici per competenze altrettanto specifiche chieste dalle aziende. La conferma arriva da Susanna Moccia, vice presidente dei giovani di Confindustria dopo essere stata per tre anni leader di quelli di Napoli: «È vero, non solo c'è poca specializzazione, ma si incontrano ancora preoccupanti resistenze alla mobilità se si tratta di spostarsi per lavoro al Sud. Per esperienza diretta ho incontrato giovani disposti a trasferirsi a Milano ma non a Gragnano e neppure a Capri. Oltretutto abbiamo a che fare spesso con livelli di preparazione tecnica inadeguati, nel senso che sono essenzialmente teorici». Un problema di mentalità, allora? «Anche. Il nostro gruppo (nota azienda pastaia di Gragnano, ndr) cerca ragazzi più specializzati nella produzione e con una propensione ad imparare un mestiere nuovo e a mettersi in gioco. Spesso però capita che i laureati che arrivano da noi si sono fatti un'idea di quello che vorrebbero fare da grandi ma non capiscono che si deve partire un po' da zero. Con la Buona scuola si è fatto un passo avanti, ma non tutti hanno colto l'opportunità di questa novità, tanto è vero che siamo costretti a lavorare in termini di formazione su personale già esistente per far fronte a nuove mansioni che sul mercato non riusciamo a reperire. L'innovazione è decisiva, mi auguro che anche i sindacati se ne rendano sempre più conto».

Loro, i sindacati, chiamano in causa i tavoli istituzionali nei quali si ragiona e si dovrebbe decidere come attuare i tanti strumenti operativi che esistono già, dai patti per il Sud (che coinvolgono anche la città metropolitana di Napoli), alla futura Zes. «Turismo, agroindustria e formazione anche in chiave 4.0 sono asset strategici - dice Giampiero Tipaldi, segretario provinciale Cisl - ma quei tavoli occorre renderli pienamente efficaci. Noi e le imprese abbiamo concordato un percorso comune, ma serve anche altro, a cominciare dal rispetto delle regole sulla sicurezza sul lavoro e da una seria lotta all'evasione fiscale per fare sviluppo».
Intanto però sono i numeri che fanno paura. Nel 2017 Napoli, come informa l'Istat, è stata tra le maggiori città italiane quella che ha fatto registrare l'aumento più alto di disoccupazione, +3,9% rispetto al 2016 (dal 26,6% al 30,5%, per l'esattezza), ovvero 24 mila persone in più a caccia di un impiego. I senza lavoro, in città, sono 113 mila:, dieci anni prima, i disoccupati erano 34 mila (l'11% della popolazione attiva), 79 mila in meno di oggi. «Le imprese vogliono assumere anche se sono soprattutto quelle medie ad avere colto i segnali di ripresa - dice Anna Del Sorbo, da sei mesi alla guida della Piccola industria di Confindustria Napoli - ma parlare di crescita mi pare francamente ottimistico. Per le piccole imprese e' ancora molto dura». E come se non bastasse, spiega l'imprenditrice, c'è ancora da lavorare molto sulla cultura del lavoro delle giovani generazioni locali, nella consapevolezza, peraltro, che molti dei loro titoli di studio quantunque eccellenti si rivelano di fatto lontani dagli standard richiesti dalle aziende. «Per non parlare di un altro paradosso - dice Del Sorbo -: è reale il rischio che lavorazioni artigianali già oggi assicurate soprattutto da manodopera asiatica non interessino più i nostri giovani che pure in gran numero cercano un'occupazione legata al territorio. Il nodo della formazione è strategico ma molto dipende anche dalla riduzione del peso della burocrazia che per noi imprese resta una zavorra enorme».

Napoli, insomma, suscettibile di ampi miglioramenti, per usare le parole dell'imprenditrice. Ma ancora troppo lontana da quei livelli di competenze tecnologiche e digitali che rendono il mercato del lavoro competitivo a qualsiasi latitudine. «Noi di Tecno - dice il presidente e fondatore Giovanni Lombardi - contiamo attualmente su oltre 2500 aziende-clienti in tutti i settori industriali e da qualche anno abbiamo diversificato in attività dove la matrice comune è costituita da open innovation, tecnologia e digitale». È la riprova che la nuova rivoluzione industriale può creare opportunità di sviluppo e di lavoro anche qui, nella capitale delle contraddizioni, dove però la prima sfida da vincere non è più solo la sfiducia o la rassegnazione come si credeva un tempo ma quella di un nuovo livello di competenze che fatica a diventare diffuso. Sapendo, peraltro, che nemmeno queste da sole possono essere decisive per entrare stabilmente nel mondo del lavoro.
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