Napoli, il paradosso Mecfond: ha le commesse, non i fondi

Napoli, il paradosso Mecfond: ha le commesse, non i fondi
di Nando Santonastaso
Giovedì 3 Ottobre 2019, 07:00 - Ultimo agg. 10:30
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È una storia che rasenta l'incredibile quella raccontata ieri in una conferenza stampa dalla Mecfond, il notissimo marchio napoletano specializzato nella costruzione di presse per case automobilistiche, che aveva raccolto l'eredità industriale di un'azienda forte, negli anni d'oro, anche di mille dipendenti. La nuova proprietà, che fa capo all'imprenditore Giorgio Nugnes dal 1999, annuncia che entro febbraio può chiudere la produzione perché impossibilitata a reperire le risorse necessarie a rispettare gli accordi previsti da commesse già acquisite o in via di acquisizione.
 
C'è un problema di capitale circolante che manca. Mecfond spiega: «Su produzioni del valore di 10-16 milioni di euro l'acconto è del 20% con fideiussione bancaria mentre il resto delle spese è a carico del capitale privato. Chi ha aiuti da parte del sistema bancario o delle istituzioni locali, riesce a consegnare l'opera nei tempi stabiliti. Noi non possiamo».

Una sorta di morire di crescita, pare di capire, che nel martoriato Mezzogiorno industriale sembra, appunto, un paradosso. Unica realtà manifatturiera del settore in Italia, la Mecfond ha riconquistato negli anni il prestigio perduto fino al punto da essere diventata uno degli interlocutori maggiori di company come Volvo, Fca, Seat, Volkswagen, in un settore dove la concorrenza proviene di competitor cinesi, tedeschi, americani (l'ultima pressa di nuovissima generazione sarà consegnata dai napoletani ad un'azienda di Lecco che costruisce stampi per Audi). Una sfida, però, che rischia di rimanere un ricordo e niente più se l'azienda, che occupa attualmente 230 addetti tra diretti e indiretti, non troverà le risorse finanziarie necessarie. «Abbiamo investito in questi anni 20 milioni - dice commosso Nugnes, entrato in fabbrica come semplice operaio e diventato poi il nuovo patron - 17 dei quali di tasca nostra, anche vendendo delle proprietà personali, e solo 3 garantiti da agevolazioni e incentivi. Pensate che ogni mese tra stipendi e contributi serve quasi un milione di euro. Ma ora non riusciamo più a farcela da soli, serve un aiuto concreto per tener fede ai nostri impegni: ci sentiamo abbandonati».

Uno dei nodi da sciogliere è il rapporto fra Mecfond e banche. «Gli istituti di credito - racconta il Cfo, Capuano - garantiscono la copertura delle spese ordinarie ma non anche l'accompagnamento durante tutta la gestione delle commesse la cui durata varia dai 12 ai 20 mesi, alla luce dell'imponenza del prodotto da realizzare e dei costi industriali da sostenere». Possibile che non si riesca a trovare un'intesa, considerati da un lato la qualità dell'azienda e la sua competitività internazionale e dall'altro la ripetuta, annunciata disponibilità delle banche a sostenere, anche al Sud, progetti industriali credibili e di prospettiva? Evidentemente ci sono garanzie sulle quali non è stato ancora raggiunto un accordo.

Di sicuro, stando a quanto annunciato, senza l'intervento delle banche, o di un partner industriale, o ancora di un fondo di private equity, il destino della Mecfond appare segnato. «Non possiamo consentire dopo quanto sta accadendo a Napoli e in Campania a partire dalla Whirlpool, che un altro pezzo della storia metalmeccanica rischi di scomparire. Qui ci sono qualità tecnologica e una tradizione di affidabilità industriale che non vanno abbandonate e sulle quali anzi si può e si deve continuare ad investire», dicono Giuseppe Terracciano, segretario della Fim Cisl e Giovanni Sgambati, leader regionale della Uil Campania. Intanto, però, già si fanno i conti sulle conseguenze dell'eventuale stop produttivo: un centinaio di dipendenti finirebbe in esubero dal momento che la costruzione delle presse garantisce metà del fatturato aziendale, la cui altra metà poggia su attività di global service legate soprattutto alla manutenzione degli impianti industriali.

Ma c'è anche un altro aspetto, altrettanto paradossale. L'azienda non riesce a trovare competenze e profili occupazionali necessari a tenere il passo con le sempre più frequenti novità tecnologiche. «Ci siamo proposti spesso - spiega Nugnes - come scuola di formazione. Fino ad oggi questa formazione è stata realizzata n azienda senza collaborazione con il sistema delle università e della Regione. Ma perché possa rimanere in piedi è proprio dalla formazione che la nostra azienda deve ripartire: senza risorse umane specializzate non possiamo farcela».
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