Crisi da Covid, figli più poveri dei padri: l'ascensore sociale scende sempre di più

Crisi da Covid, figli più poveri dei padri: l'ascensore sociale scende sempre di più
di Nando Santonastaso
Martedì 6 Aprile 2021, 12:00 - Ultimo agg. 19:59
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La pandemia come la ciliegina su una torta ormai da tempo tutt’altro che dolce. Bloccato, sospeso o in discesa da anni, l’ascensore sociale italiano. Scuola e università non riescono più a rimetterlo in moto, le conseguenze del Covid e delle varianti stanno facendo il resto. 

Aumentati i neet e le disuguaglianze tra generazioni, stabile il già modesto livello di laureati, in calo invece l'indice di natalità. Niente figli con questa incertezza sul futuro: se nasci povero, rischi seriamente di restare tale per sempre. Non più solo al Sud dove il disagio sociale resta fortissimo, a partire dai bambini: l'allarme coinvolge ormai anche il Nord, dal Veneto a La Spezia in questi giorni è tutto un grido di dolore. Per la prima volta, come documentato dall'Istat quasi un anno fa, sono più i figli che rischiano una regressione rispetto allo status dei genitori (26,6%) di quelli che invece avranno la possibilità di salire verso condizioni più favorevoli (24,9%).

Non era mai accaduto in precedenza. Penalizzata soprattutto la generazione dei nati negli anni '80, quella dei millennials del lavoro visto che l'approccio all'occupazione è coinciso (o doveva coincidere) con la seconda decade del Duemila.

Ma anche per i nati nel nuovo secolo crescono incognite e dubbi. Impossibile non ricordare che solo fino a tre anni fa più dell'80% dei giovani tra 15 ve 29 anni viveva ancora con i propri genitori. E allora il Covid non c'era. 

L'ascensore sociale bloccato o in discesa non è nato per caso. L'Istat spiega che «la pandemia si è innestata su una situazione sociale caratterizzata da forti disuguaglianze». Un caso su tutti, la classe sociale di origine che influisce ancora sulle opportunità delle persone. Uno studio di Oxfam Italia sulle disuguaglianze dimostra che «se si considerasse la popolazione nazionale divisa in quintili di ricchezza netta posseduta, la probabilità per i figli di collocarsi nello stesso quintile dei propri genitori è molto elevata».

Vuol dire che il 32% dei figli i cui genitori appartengono al quintile più povero resta allo stesso livello dei genitori e solo il 12% dei figli con un profilo patrimoniale basso riesce a raggiungere una classe più elevata.

«Se invece partiamo dal vertice della piramide distributiva, il 38% dei figli i cui genitori appartenevano al quintile più ricco restano nello stesso quintile e il 58% riesce addirittura ad accedere ai quintili più alti». In altre parole, le disuguaglianze di reddito dei genitori «diventano disuguaglianze di istruzione dei figli che si trasformano, a loro volta, in disuguaglianze di reddito, replicando, sebbene con intensità diversa, quelle che esistevano tra i rispettivi genitori». 

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Ma non c'entrano solo i soldi, molto dipende anche dal titolo di studio dei genitori, come documenta la recentissima indagine dell'Inapp, l'Istituto nazionale di analisi delle politiche pubbliche: in un Paese già fanalino di coda in Europa per numero di laureati, solo il 12% dei giovani ha la probabilità di arrivare alla laurea se i genitori hanno la licenza media. Si scende al 6% se mamma e papà un titolo di studio non ce l'hanno. Al contrario, se almeno uno dei due genitori è arrivato almeno al diploma, quasi un figlio su due in media può approdare alla laurea. Se poi nasce da due genitori laureati, la possibilità di laurearsi sale fino al 75%.

Altro nodo preesistente alla pandemia, quello del lavoro. L'Italia era già fanalino di coda in Europa da tempo, come spiegano i dati Eurostat elaborati dalla Fondazione Leone Moressa: il tasso di occupazione giovanile a fine 2019 si era attestato al 56,3% nel contro una media europea del 76%, indietro anche rispetto a Grecia (62,2%) e Spagna (67,7%) ma con il Sud indietro di ben 23 punti rispetto al Settentrione (e un 34% di occupazione femminile che si commenta da solo). Il Covid, come detto, ha peggiorato le cose: dai dati Cnel emerge che prima della seconda ondata solo il 49,7% dei lavoratori under 24 e il 61% dei lavoratori tra 25 e 34 anni è rimasto occupato nei settori ancora attivi. 

Ma è anche la carenza di competenze a rendere persino più complicata la già modesta possibilità di riattivare l'ascensore sociale.

«Molti giovani che escono dalle scuole italiane non hanno le competenze e i requisiti richiesti dalle aziende. La distanza tra domanda e offerta continua ad essere troppo elevata e durante la pandemia, secondo gli ultimi dati del sistema Excelsior di Unioncamere, ha raggiunto il 43%: 4 aziende su 10 non riescono a trovare i profili che cercano. Questo costa tra il 6 e il 10% del Pil», dice Paola Vacchina, presidente di Forma, l'associazione nazionale degli enti di formazione professionale e consigliera del Cnel. Ci rimane il Pnrr ma risalire la china si annuncia molto difficile: in Italia un titolo di studio secondario ce l'ha solo il 62,2% delle persone tra i 25 e i 64 anni, a fronte di una media Ue del 78,7%.

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