Effetto guerra: rincari litio, nichel e rame affossano la rivoluzione green

Effetto guerra: rincari litio, nichel e rame affossano la rivoluzione green
di Nando Santonastaso
Giovedì 31 Marzo 2022, 00:01 - Ultimo agg. 1 Aprile, 11:10
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Gas e petrolio alle stelle, bolletta energetica pesante per famiglie e imprese, Ue in apnea. In teoria, però, la guerra tra Russia e Ucraina potrebbe rivelarsi un imprevisto ma determinante acceleratore per la transizione ecologica, un po’ come è avvenuto con la pandemia in chiave di transizione digitale. E la corsa, senza precedenti, scatenatasi in tutta Italia all’avvio del conflitto per l’installazione di pannelli fotovoltaici sembra confermarlo. Ma un conto è la teoria, un altro la verità dei fatti. Ovvero, quella che racconta senza sconti e illusioni i pesanti rincari di metalli e materie prime, prodotti nei due Paesi in guerra, necessari alla produzione di tecnologie “green”: dai pannelli solari alle turbine eoliche passando per le batterie dei veicoli elettrici. Tra produzioni bloccate perché bombardate o a rischio di raid, e forniture vietate o in via di sospensione per effetto delle sanzioni imposte dall’Ue a Mosca, lo scenario è profondamente mutato e nessuno azzarda previsioni a breve e medio termine, ipotizzando però il serio pericolo di danni ambientali tutt’altro che trascurabili. Dal nichel al palladio, dal rame al litio, dal platino al neon, tutti necessari a garantire il passaggio a tecnologie meno inquinanti, fioccano dubbi e perplessità. 

Il palladio, per esempio, che viene utilizzato per le marmitte catalitiche delle auto (serve per costruire gli scarichi catalitici) costa oggi a causa della guerra quasi tremila euro all’oncia (meno di 30 grammi) e la Russia è il primo esportatore al mondo, con oltre il 45 per cento del totale. In particolare, il palladio è salito del 5,7% a 2.622,43 dollari l’oncia da un precedente di 2.695,57 dollari l’oncia, il suo massimo da agosto dell’anno scorso. I numeri scendono per il platino, altro metallo usato per i convertitori catalitici ma anche per gli elettrolizzatori, macchinari in grado di produrre idrogeno combustibile scindendo le molecole d’acqua con l’elettricità: la Russia garantisce il 15 per cento degli approvvigionamenti mondiali. Ma è sul nichel, che ha molti impieghi a partire dall’acciaio, che Mosca fa da sempre la voce grossa: è il primo produttore mondiale e non è una leadership da poco se si considera che le risorse del sottosuolo potrebbero durare come riserve sfruttabili ancora per altri 150 anni. Parliamo peraltro di un metallo duttile, malleabile, ottimo conduttore di calore ed elettricità, usato anche dalle monete ai telefonini, oltre che nelle superleghe destinate alle auto elettriche (per esempio nelle batterie) o soprattutto per la preparazione dell’acciaio inossidabile inox. Con gli aumenti del prezzo (subito dopo l’invasione russa il prezzo del nichel si è quadruplicato e la Borsa dei metalli di Londra ne ha dovuto sospendere a tempo indeterminato le contrattazioni) e le incognite sull’export, si addensano pesanti nuvoloni sui produttori di auto elettriche.

Il nichel a inizio marzo ha fatto registrare +160%. C’è chi teme che agevolare la via dell’elettrificazione e della transizione ecologica potrebbe diventare sempre più complesso, tenendo conto che anche i prezzi di altri elementi come litio e cobalto erano in crescita da prima del conflitto. Non è un caso che la filiera dell’automotive, già duramente colpita dalla crisi dei chip, stia ripetutamente sollecitando i governi europei a ridefinire il cronoprogramma per il passaggio dai motori a combustione tradizionale a quelli elettrici.  

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Si è detto del litio e anche qui la guerra c’entra. Lo si estrae infatti anche nella regione del Donbass, una delle ragioni del conflitto, e le attività produttive erano state intensificate da parte ucraina proprio pochi mesi prima. Che ne sarà dei contratti già stipulati con le company mondiali per la fornitura delle batterie? Secondo il New York Times, l’Ucraina possiede 500.000 tonnellate di litio. Anche se non è il massimo (la Bolivia ne ha circa 21 milioni), la vicinanza a una delle più grandi riserve del mondo potrebbe essere alla base delle vere ragioni della Russia per il controllo dell’Ucraina. La produzione globale di litio è triplicata tra il 2015 e il 2021, raggiungendo le 100.000 tonnellate nell’ultimo anno. E ancora a proposito di Kiev, il Paese invaso è insieme alla Russia uno dei principali produttori mondiali di neon: questo particolare gas viene usato anche per la produzione dei microchip perché risulta necessario all’incisione laser del silicio con cui questi si costruiscono. Prima del Covid il neon aveva un costo inferiore del 500% rispetto a quello pre-guerra. Paragonato al 2014, si registra un ulteriore 600% di aumento. Il consumo mondiale di neon per la produzione di semiconduttori ha raggiunto circa 540 tonnellate l’anno scorso. Dato che l’Ucraina produce più della metà del neon mondiale, la cifra potrebbe scendere sotto le 270 tonnellate nel 2022 se i produttori di neon della nazione rimangono chiusi. Facile capire dunque perché oltre all’automotive crescono le preoccupazioni di interi settori industriali.  

La Russia è invece anche il secondo fornitore globale di cobalto necessario per telefonini, tablet e computer) ed è stabilmente al vertice delle classifiche relative alle produzioni di titano, potassio e delle cosiddette “terre rare”, materiali poco noti (come il vanadio) ma tanto per cambiare necessari per produrre batterie elettriche, semiconduttori, fertilizzanti, componenti per aerei e armi. E che dire dell’alluminio che ogni giorno ci passa tra le mani sotto forma di lattine o fogli per incartare e cucinare gli alimenti? Il 6 per cento di questo metallo proviene da Mosca, seconda solo a Pechino. L’alluminio ha superato di slancio i 3.600 dollari a tonnellata, portando l’aumento a quasi il 60% solo nell’ultimo anno. Nel gennaio del 2021 il prezzo era poco sotto i 2000 dollari a tonnellata, ad agosto del 2020 poco sopra i 1300. Difficile insomma dar torto al think thank “Riparte l’Italia”: «Progressi globali nella riduzione della dipendenza dai combustibili fossili si erano mostrati troppo lenti: lo sviluppo di progetti solari ed eolici è stato recentemente stimato inferiore del 30% a quanto necessario per raggiungere gli obiettivi climatici mondiali in questo decennio. Una carenza di materiali utilizzati per produrre tali tecnologie non farà che rallentare ancora di più questo processo». 

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