Il divario resta, forse si è persino allargato. E, almeno per ora, l'atteso impatto del Pnrr sulla crescita dell'occupazione al Sud non si vede. Lo dicono i dati, nazionali ed europei, più aggiornati. Impietosi, forse, e, in fondo, nemmeno sorprendenti ma questa, come si intuisce, è un'aggravante, non una consolazione. Il lavoro nel Mezzogiorno rimane distante 20 punti e più dalle medie nazionali e Ue, qui la ricorrenza del Primo Maggio da anni non evoca alcuna festa. C'è ben poco da essere felici di fronte al dato diffuso da Eurostat, l'ufficio statistico europeo: tra le ultime cinque regioni di Paesi Ue per basso indice di occupazione nel 2021 quattro sono del Meridione d'Italia. Campania, Sicilia, Calabria e Puglia condividono la classifica con la Guyana francese, territorio tropicale della madrepatria Francia il cui capoluogo, Caienna, ricorderà a molti il famigerato penitenziario per prigionieri politici. In termini percentuali, sono sullo stesso piano. Tra i 15 e i 64 anni il tasso di occupazione al Sud non supera il 44%. Oscilla tra il 41.1% della Sicilia, il 41,3% della Campania, il 42% della Calabria e il 46,7% della Puglia. Più su, sia pure di poco, c'è la Basilicata. La media europea è un miraggio: 68,4%, quasi dieci punti in più della media italiana e quattro più di quella del Settentrione. La Grecia, spiega Eurostat, che ha un tasso di occupazione più basso di quello medio italiano (57,2%, il peggiore in Ue), ha meno differenze regionali con l'area meno occupata (Iperios) il cui tasso di occupazione arriva al 50,7%.
Sono praticamente gli stessi dati del 2019 ma riattualizzarli dopo due anni di pandemia crea più di un interrogativo. Se è vero, infatti, come aveva rilevato la Svimez nel Rapporto dello scorso anno, che l'emergenza sanitaria ha avuto un impatto più debole sul tessuto produttivo del Mezzogiorno, perché meno diffuso specie a livello industriale del Nord, è altrettanto vero che le distanze tra le due macroaree del Paese sembrano essersi ulteriormente cronicizzate. E il rimbalzo del Pil 2021, che per l'Italia ha superato il 6%, non ha prodotto al Sud un vero e proprio tentativo di recupero.
L'Italia delle disuguaglianze non è certamente tutta al Sud. Né vanno dimenticati i segnali positivi che da alcuni settori produttivi meridionali continuano ad arrivare (il farmaceutico e almeno in parte l'agroalimentare, ad esempio), in attesa che dalle Zes parta finalmente l'attesa capacità di attrazione degli investimenti stranieri. Né è trascurabile il recupero di ottimismo del settore turistico o la conferma del valore assoluto di comparti di nicchia, come quello dell'arte orafa, che non hanno ovviamente grandi numeri ma nei quali il peso della formazione fa la differenza (al Tarì di Marcianise, dove ieri è stata sancita, con la firma di Confindustria e Federorafi, la nascita della Campania come quarto polo orafo nazionale, chi esce dalla locale Scuola di formazione trova immediatamente un posto di lavoro nel settore). Il fatto è che la distanza con le medie nazionale e del Nord è troppo alta per poterla accettare. Vale anche per i laureati: se nella media Ue il tasso delle donne occupate con un diploma di laurea è dell'82,5% in Italia si ferma al 76,4% ma è dell'82% in Lombardia, del 64% in Campania e del 59,4% in Calabria.