Patti di stabilità, piano sostenibile per l’Italia: la stretta evitata fino al 2027

Il taglio del deficit strutturale già messo in conto per il prossimo triennio dalla Nadef

Patti di stabilità, piano sostenibile per l’Italia: la stretta evitata fino al 2027
di Andrea Bassi
Mercoledì 20 Dicembre 2023, 23:56 - Ultimo agg. 23 Dicembre, 15:16
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Giancarlo Giorgetti può guardare il bicchiere mezzo pieno. E con lui l’intero governo. Per tutta la durata della legislatura per Roma non sarà difficile rispettare le regole del nuovo Patto. Anzi. Di fatto il Paese è già in linea, almeno con le regole del “braccio correttivo”, quello dove finiranno gli Stati europei che sforano il limite del 3 per cento del deficit.

E l’Italia è tra questi. In base agli accordi raggiunti sul nuovo Patto, chi sfora la soglia del deficit dovrà garantire un aggiustamento minimo dello 0,5 per cento. Si tratta di una correzione dei conti di 10 miliardi di euro. Ma per tre anni, il 2025, il 2026 e il 2027, questa correzione sarà ridotta per tenere conto delle spese per interessi sostenute dal Paese interessato, in modo da non bloccare gli investimenti, soprattutto quelli legati agli obiettivi europei della transizione verde e digitale. 


LA SFORBICIATA
Quanto sarà profonda questa “sforbiciata” è presto per dirlo, sarà oggetto di future trattative, visto che lo sconto è stato inserito nei «considerando» del nuovo Patto.

Comunque sia per l’Italia rispettare il nuovo parametro non sarà un grande problema. L’ultima Nadef, la Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza, ha già programmato negli attuali conti una correzione strutturale del deficit dello 0,5 per cento per il 2025 e dello 0,7 per cento per il 2026. E si tratta di una correzione che non tiene conto del possibile sconto per gli interessi. Nel documento del Tesoro, anzi, è spiegato cosa accadrebbe al deficit strutturale se si dovesse conteggiare la maggiore spesa degli oneri sul debito pubblico. Il miglioramento del saldo sarebbe dello 0,6 per cento nel 2025 e, addirittura, dell’1 per cento nel 2026. Significherebbe la possibilità di poter persino liberare qualche risorsa. Il problema per l’Italia si porrebbe piuttosto nel momento in cui uscisse dal “braccio correttivo”, per tornare nel “braccio preventivo”, dove le regole di contenimento del deficit e del debito rimangono stringenti.

È vero che è stata cancellata l’irrealistica norma del vecchio Patto che prevedeva la riduzione di un ventesimo all’anno del passivo (per l’Italia sarebbe il 5 per cento di quasi 3 mila miliardi, ossia 150 miliardi), ma resta comunque per i Paesi che hanno un debito in rapporto al Pil superiore al 90 per cento (e quello italiano supera il 140 per cento) la richiesta di un taglio dell’1 per cento ogni dodici mesi (30 miliardi l’anno circa). Un obiettivo non semplicissimo, anche se nel nuovo compromesso viene prevista la possibilità di recuperare negli anni successivi eventuali risultati inferiori conseguiti in un anno, a patto però, di non lasciare tutto il taglio del debito nella parte finale del programma di rientro. Programma che potrà durare quattro o sette anni a fronte, in questo secondo caso, della promessa di riforme. Proprio su questo punto si è raggiunta probabilmente la più importante vittoria politica dell’Italia. Giorgetti ha ottenuto che chi ha in corso gli investimenti per il Pnrr e rispetta i tempi, possa accedere automaticamente alla proroga a 7 anni dei programmi di rientro.Oltre al debito, c’è un altro punto delicato per Roma nel “braccio preventivo” del nuovo Patto di Stabilità: il deficit. A segnare un punto, in questo caso, sono stati i tedeschi, alfieri dell’austerity e del pareggio di bilancio. Una volta usciti dal “braccio correttivo” non sarà più sufficiente raggiungere un deficit del 3 per cento del Pil. Bisognerà scendere ancora. Per i Paesi che hanno un debito superiore al 90 per cento del Pil, come l’Italia, il nuovo obiettivo sarà dell’1,5 per cento. Chi ha un debito tra il 60 e il 90 per cento, potrà fermarsi al 2 per cento di deficit. 


IL PASSAGGIO
La discesa dal 3 per cento all’1,5 per cento sarà comunque graduale. Con un aggiustamento dello 0,4 per cento del Pil (circa 8 miliardi nel caso dell’Italia), nel caso di programmi quadriennali, o dello 0,25 per cento (5 miliardi sempre nel caso italiano) per i programmi di sette anni. Il motivo di questo nuovo obiettivo di deficit, secondo quanto sostenuto dalla Germania, sarebbe quello di permettere a tutti i Paesi di creare delle “riserve” di deficit da attivare in caso di crisi o di shock esterni. Questa volta è stata anche inserita, a differenza delle vecchie regole, una clausola di flessibilità automatica. La voce fondamentale alla base del nuovo Patto per raggiungere tutti questi parametri, sarà quella della spesa corrente.Sarà previsto un limite annuo massimo di crescita delle uscite primarie nette. I Paesi sotto procedura dovranno concordare l’uso dei fondi pubblici con la Commissione europea nel rispetto delle traiettorie di aggiustamento del debito. Sempre all’insegna della flessibilità è prevista la possibilità di uno sforamento dello 0,3 per cento rispetto al piano concordato. Il nuovo Patto, insomma, si regge su molti compromessi che, come ha detto il Commissario Paolo Gentiloni, hanno «appesantito» il testo iniziale. Si potrebbe dire: È l’Europa, bellezza. 
 

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