Salari e Reddito, via la stretta per rilanciare l'occupazione

Salari e Reddito, via la stretta per rilanciare l'occupazione
di Nando Santonastaso
Martedì 7 Giugno 2022, 08:00 - Ultimo agg. 17:49
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Il più ricco ce l'ha il Lussemburgo, oltre 2200 euro mensili, sette volte maggiore del più povero, i 332 euro della Bulgaria. In mezzo altri 25 Paesi, sei dei quali con livelli superiori a 1.500 euro, a partire da Francia e Germania. Difficile negare che il salario minimo non sia da anni una realtà consolidata in Europa, anche se all'appello mancano Italia, Austria, Cipro, Danimarca, Finlandia e Svezia. Da noi ha pesato finora la centralità dei contratti collettivi nazionali che già prevedono soglie minime di retribuzione, ma difronte alla crisi economica esplosa con la pandemia e ora accentuata dalla guerra in Ucraina, il tema è diventato attuale. Appunto che c'è chi si spinge a ipotizzare che il Parlamento si pronuncerà entro la fine della legislatura.

Non sarà facile, in ogni caso, considerate le divergenze non solo fra i partiti di maggioranza ma anche fra gli stessi ministri, per non accennare alle perplessità dei sindacati (favorevoli solo se si continuerà a ragionare nei termini di applicazione dei contratti collettivi nazionali) e l'apparente prudenza di Confindustria. La verità è che al di là della possibile soglia minima di riferimento (9 euro orari lordi o 9 euro netti) la posta in palio rimane la stessa che da anni impedisce alla politica di rendere affidabile e soprattutto trasparente il sistema delle politiche attive del lavoro. Non è un caso che anche in questi giorni, dopo la pubblicazione dei dati Osce in base ai quali negli ultimi trent'anni gli aumenti dei salari italiani sono addirittura finiti in fascia negativa, sono riesplose le critiche al Reddito di cittadinanza, e non solo per evidenti ragioni pre-elettorali (domenica si vota per le amministrative e tra meno di un anno per le politiche). Sono in molti a chiedersi se e fino a che punto il ricorso al salario minimo anche in Italia riuscirà a compensare l'evidente défaillance del Reddito, bandiera storica del Movimento 5 Stelle, che non è riuscito ad accompagnare almeno una parte dei percettori all'occupazione.

Anche questa analisi, peraltro, è soggetta a valutazioni opposte e non solo tra i partiti: proprio di recente il presidente dell'Inps Pasquale Tridico ha sostenuto che «la platea dei beneficiari del Reddito è costituita per due terzi da non occupabili per definizione, cioè anziani, minori e disabili.

Il terzo occupabile ha tassi di scolarizzazione molto bassi che non risolvono il mismatch di grandi professionalità di cui si ha bisogno». Va detto, però, che su questa misura lo Stato si è impegnato per venti miliardi di euro e che, fatto salvo il sostegno a chi è in povertà assoluta, appare molto magro il dato dell'11,9% relativo a quanti hanno avuto accesso a una qualche forma di occupazione (peraltro, secondo gli ultimi report Anpal, sul totale dei soggetti beneficiari a cui è stato trovato un lavoro, due terzi sono contratti part time o stagionali). Troppo poco per un provvedimento che ha mostrato molti limiti anche nella gestione assistenziale, come dimostrano i tanti casi di truffe scoperti dalle forze dell'ordine e dalla magistratura, soprattutto al Sud.

Il nodo di fondo, però, resta: le due questioni, salario minimo e Reddito, devono integrarsi o, come dice il segretario Pd Letta, vanno affrontate separatamente? E ancora: come bisogna favorire l'ingresso dei giovani e delle donne al mercato del lavoro assicurando loro paghe dignitose e, per quanto possibile, adeguate alle loro competenze? Secondo l'ultimo report di In-work poverty in the Eu in Italia, l'11,7% dei lavoratori dipendenti riceve un salario inferiore ai minimi contrattuali. Si tratta dei cosiddetti working poors, lavoratori il cui reddito è inferiore alla soglia di povertà relativa, magari perché lavorano a tempo parziale pur essendo regolarmente occupati. I sindacati calcolano in oltre due milioni il numero dei dipendenti non coperti da contratti collettivi nazionali e da contratti integrativi, sottolineando che è su di loro che dovrà concentrarsi l'eventuale introduzione del salario minimo. Rimane da capire, però, come mai il mercato del lavoro italiano non riesce a soddisfare le richieste di migliaia di imprenditori che da mesi cercano personale, anche non strettamente specializzato, ma invano. Non solo mancano ingegneri e tecnici ma anche camerieri, cuochi, baristi e pizzaiuoli: «Tutta colpa del reddito di cittadinanza», dicono i titolari di piccole e medie imprese soprattutto, perché scoraggia la ricerca di occupazione. Ma anche questo è un discorso controverso: chi non accetta certe offerte, si ribatte, è perché rifiuta salari da fame se non in nero. «Che in Italia ci sia un problema di scarsa produttività per ore di lavoro, è purtroppo vero - dice Luca Bianchi, direttore generale della Svimez - ma da solo non spiega la modesta posizione di classifica dell'Italia in Europa. Il lavoro da noi è sempre più precario e soprattutto al Sud risente di una evidente difficoltà di applicazione dei contratti collettivi nazionali che è il riflesso quasi inevitabile delle piccole dimensioni della stragrande maggioranza di imprese esistenti. Il salario minimo può essere utile, sicuramente, ma non risolutivo: se riuscirà ad ampliare la platea dei percettori dei contratti nazionali avrà raggiunto già un ottimo risultato».

Naturalmente bisogna fare i conti anche con quella che da anni viene chiamata la giungla dei contratti di lavoro. Stando alla stima del Cnel, il Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro, sono in vigore 888 contratti collettivi nazionali, molti dei quali prevedono una soglia di salario minimo. C'è chi dice che la misura aiuterà l'emersione dei nuovi contratti ma, inutile dirlo, su questo punto lo scontro è totale: «In quel numero sono compresi i contratti firmati da sindacati di comodo e dunque il rischio che aumentino proprio grazie al salario minimo svincolato dai parti collettivi, creando ancora danni ai lavoratori, è reale», interviene Giovanni Sgambati, segretario regionale della Uil Campania.

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