Lo Stato entra nell'Ilva
per la conversione verde

Lo Stato entra nell'Ilva per la conversione verde
di Nando Santonastaso
Sabato 12 Dicembre 2020, 10:10 - Ultimo agg. 13 Dicembre, 09:57
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Lo Stato aveva chiuso nel 1992 l'Italsider di Bagnoli, che era arrivata ad occupare anche 8mila lavoratori (25mila con l'indotto), uscendo dalla siderurgia nazionale dopo i lunghi e controversi anni della gestione pubblica con l'Iri. Ventotto anni dopo lo stesso Stato rientra da protagonista nel settore, rimasto strategico nonostante le crisi internazionali con cui ha dovuto fare i conti. Lo fa acquisendo il 50% della società con cui Arcelor Mittal gestisce l'ex Ilva di Taranto (che 25 anni fa era stata privatizzata con la cessione al Gruppo Ilva) e impegnandosi ad arrivare al 60% del controllo nella primavera del 2022.

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Il ritorno al passato, che già nei mesi scorsi aveva alimentato dubbi e perplessità (da nuova Iri a nuova Gepi, si era detto, a proposito della riaffermata presenza dello Stato nell'economia, quasi un reil delle vecchie Partecipazioni Statali) viene sancito da un accordo di investimento (com'è stato definito) firmato nella tardissima serata di giovedì da Invitalia, che diventerà l'azionista di maggioranza per conto dello Stato, e da Arcelor Mittal.


L'obiettivo è di dare vita a «una nuova fase di sviluppo ecosostenibile» di quello che, ad onta delle incertezze attuali, resta comunque il più grande polo siderurgico d'Europa. Esattamente come Bagnoli, dalle cui ceneri, peraltro, prese il via.


Il governo concretizzerà il processo di decarbonizzazione di Taranto, già avviato, con l'attivazione di un forno elettrico capace di produrre fino a 2,5 milioni di tonnellate di acciaio all'anno.

Acciaio green o verde, insomma, che garantirebbe la continuità produttiva del sito mentre di pari passo procederà l'ampio piano di risanamento ambientale, l'altra gamba del progetto su cui il governo si è speso non poco e nel quale sono comprese anche altre importanti ricadute di carattere sociale, economico e infrastrutturale per la città pugliese. Arcelor Mittal, che aveva affittato il sito in amministrazione straordinaria e che finora ha investito 1,8 miliardi, ha garantito un primo aumento di capitale di 400 milioni per AmInvest Co. Italy, la società con cui gestisce Taranto, per permettere a Invitalia di entrare come detto al 50%.


A maggio 2022 ce ne sarà un secondo, che verrà sottoscritto fino a 680 milioni da Invitalia e fino a 70 milioni dalla compagnia indiana. Da quel momento Invitalia avrà il 60% del controllo. Nell'accordo è messo anche nero su bianco «il completo assorbimento, nell'arco del piano, dei 10.700 lavoratori dell'ex Ilva», di cui 8.200 a Taranto.


Ma a partire da quest'ultimo dato non sembrano poche le incognite da sciogliere. Dai sindacati, che sono rimasti fuori dall'accordo insieme agli enti locali (Comune e Provincia, ieri per protesta, hanno esposto bandiere a mezz'asta) sono già emerse proteste e criticità.


Che sorte avranno i circa 2mila lavoratori che nel passaggio da Ilva all'Amministrazione straordinaria rimasero in carico alla prima con la promessa di reintegro entro il 2023? E quanto sarà oggettivamente realizzabile l'obiettivo di arrivare a produrre 8 milioni di tonnellate di acciaio nel 2025, quota necessaria per mantenere un elevato e indispensabile livello di competitività mondiale dello stabilimento?


«Un piano che traguarda i cinque anni e che arriva dopo otto anni di gestione commissariale è troppo lungo» dice Rocco Palombella, segretario nazionale della Uilm. E si chiede «se non sarebbe stato meglio affidare a un privato l'attuazione del piano di decarbonizzazione, piuttosto che rafforzare la presenza dello Stato».



Ma i punti interrogativi sono anche altri. Nel 2022, ad esempio, scadrà il sequestro di una parte del sito disposto dall'autorità giudiziaria: se venisse prorogato, rischierebbe di diventare impossibile il traguardo degli 8 milioni di tonnellate di produzione, mentre sarebbe inevitabile l'ulteriore ricorso alla Cassa integrazione fino a circa 5mila lavoratori (la previsione è dei sindacati). Di qui l'allarme delle organizzazioni dei lavoratori che hanno già chiesto al ministro dello Sviluppo economico, Patuanelli, di convocare un tavolo per approfondire i termini dell'accordo e per ribadire, come fa Palombella, «che non accetteremo mai un solo esubero». Sullo sfondo, infine, c'è forse il dubbio più delicato: dopo il passaggio del controllo allo Stato, quale sarà l'atteggiamento di Arcelor Mittal che non è mai sembrata molto convinta dell'operazione-Taranto? I sindacati temono che dalla primavera 2022 la porta per laddio a Taranto sarà completamente spalancata e che la ricerca di un nuovo partner privato non sarà affatto semplice.

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