Fitto: «Sud, stop ai ritardi Rivediamo il Pnrr e spendiamo i fondi»

L'intervista al ministro degli affari europei, del Pnrr, della Politica di Coesione del Sud

Fitto: «Sud, stop ai ritardi Rivediamo il Pnrr e spendiamo i fondi»
di Nando Santonastaso
Venerdì 16 Dicembre 2022, 10:16 - Ultimo agg. 11:01
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La proroga fino a tutto il 2023 della fiscalità di vantaggio per le imprese meridionali è stato il suo primo, considerevole successo da quando, meno di due mesi fa, è diventato ministro degli Affari europei, del Pnrr, della Politica di Coesione e successivamente anche del Sud. Ma Raffaele Fitto, che ha scelto sin dall'inizio la strada del dialogo e del confronto, ha subito detto che «ora bisogna lavorare per rendere strutturale questa misura», alzando necessariamente l'asticella rispetto ad una misura che le imprese del Mezzogiorno hanno gradito tantissimo come dimostrano gli 1,7 milioni di contratti di lavoro rafforzati in oltre un anno.

Fitto ci ha lavorato, alla proroga, in silenzio, quasi sottotraccia, insieme alla collega ministra del Lavoro Marina Calderone, confermando che la concretezza sarà la chiave di lettura del suo impegno di governo. I 5,7 miliardi disponibili per abbassare il costo del lavoro delle aziende meridionali rappresentano una forte boccata d'ossigeno per un sistema produttivo, quello del Sud appunto, che secondo le ultime previsioni della Svimez rischia seriamente di finire in recessione il prossimo anno mentre le altre aree del Paese proseguiranno la crescita già monitorata quest'anno.

E testimoniano che il dialogo tra il nuovo governo e l'Europa è iniziato con il piede giusto, fermo restando che il Mezzogiorno rimane l'area più debole di tutta l'Europa comunitaria. Non a caso la linea d'ordine di Fitto, confermata anche in recenti interviste, è «Confronto continuo e serrato con la Commissione europea». Confronto che implica anche il futuro del Pnrr e di conseguenza delle risorse in ballo, 80 miliardi delle quali destinate al Sud.

«Il Piano Nazionale di ripresa e resilienza non può essere un dogma», avverte il ministro degli Affari europei che sul tema è intervenuto a più riprese in questi giorni, non ultima proprio la presentazione del Rapporto Svimez 2022. «La spesa prevista al 31 dicembre credo non arrivi neanche ai 22 miliardi, stiamo osservando i dati precisi e temo proprio che i soldi non siano quelli: quindi c'è una criticità che va posta, che è quella della capacità di spesa», ragionò il ministro in quell'occasione pur confermando la centralità del Pnrr. È un tema politico assai rilevante come dimostra la cronaca parlamentare di questi ultimi giorni che si intreccia con la corsa contro il tempo per l'approvazione della manovra.

A chi gli fa osservare che la parola Sud non è nemmeno contemplata nel testo della legge finanziaria, Fitto risponde che «la manovra varata in così poco tempo, ma con obiettivi politici chiari, non permetteva di fare di più».

Ma nel contempo ricorda che l'esigenza di rimodulare il Pnrr, tenendo conto dell'aggravio di costi prodotto dall'aumento delle materie prime e dell'energia, rimane sul tappeto come l'impegno di tutto il governo per ridurre il divario tra Sud e il resto del Paese che, come detto, nel 2023 rischia di allargarsi ulteriormente. «Le questioni sono due spiega il ministro . La prima si riferisce a un dato oggettivo. Ci sono 120 miliardi di opere pubbliche, sui 230 totali del Pnrr, e c'è un aumento delle materie prime del 35%. Il Piano quindi va probabilmente implementato, e anche armonizzato con il Fondo di sviluppo e coesione, i cui soldi sono stati spesi solo in minima parte tra il 2014 e il 2021, mentre ora, in tre anni dovremmo spendere il triplo».

Poi, insiste il ministro, «c'è l'altra questione: la Commissione europea che adotta il Piano del Repower Eu per l'infrastrutturazione energetica ci dà delle indicazioni. Ma il nostro Paese non può, ad oggi, utilizzare ulteriori risorse a debito. Quindi l'Italia deve formulare e approvare la sua proposta, e anche questo è elemento che entra nel Pnrr». Un quadro, insiste, «che deve essere condiviso nel suo divenire con la Commissione. Come peraltro indica la scelta del presidente del Consiglio, Meloni: che ha voluto connettere queste deleghe in capo ad un unico ministero».

Fitto spiega, del resto, che rivedere i dogmi non vuol dire solo che l'aumento del costo delle materie prime e dell'energia rischia di compromettere opere per decine di miliardi previste dal Pnrr. Significa anche prendere atto che molti strumenti di programmazione non dialogano tra di loro, come lo stesso Pnrr e il Fondo sviluppo e coesione. O che «progetti pensati prima dell'inizio del ciclo di utilizzo dei fondi europei rischiano di essere superati di fronte a scenari totalmente nuovi come la guerra in Ucraina». I precedenti, ribadisce Fitto, non sono peraltro incoraggianti: a tutt'oggi, la spesa dei Fondi strutturali europei e del Fondo nazionale di sviluppo e coesione è in ritardo (In 8 anni speso solo il 50%).

Di sicuro il lavoro di ricognizione sulla spesa è già iniziato, Regioni e ministeri sono stati sollecitati da Fitto a fare il punto della situazione. Ma intanto, riconosce il ministro, «l'Italia è a due velocità»; tutte le regioni meridionali sono agli ultimi posti in Europa come documentato dall'ottavo Rapporto della Coesione curato dall'Ue; e i Paesi nordici non credono che si debba continuare a destinare soldi al Mezzogiorno visto che non sono stati utili finora a ridurre il divario. «Siamo al paradosso: facciamo come governo una manovra concreta e realistica in soli 20 giorni e ci sono ancora centinaia di miliardi da spendere, soprattutto al Sud». Di qui al tema dell'autonomia differenziata il passo è inevitabilmente breve. Fitto non elude la questione:

«Per noi dice - è fondamentale dare attuazione all'articolo 119 della Costituzione (che prevede la perequazione in favore delle Regioni in ritardo e la fine della spesa storica, ndr), ma non cediamo ancora alla logica di voler giustificare ad ogni costo i ritardi e gli errori del Mezzogiorno». Le risorse della Coesione, aggiunge, «vanno concentrate sui grandi interventi strategici e non su altro se vogliamo veramente ridurre il divario».

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