Internet e comuni isolati: cosa cambia per gli utenti con la rete unica

Internet e comuni isolati: cosa cambia per gli utenti con la rete unica
di Gianni Molinari
Venerdì 28 Agosto 2020, 10:00 - Ultimo agg. 29 Agosto, 09:19
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Una questione complicata e difficile, di semplice ha solo il nome rete unica. Cioè un unico operatore che dovrebbe gestire (usando termini semplici e semplificando a rischio di flagellazione degli esperti), internet veloce (ma anche la velocità non è una sola) in tutto il paese. Perché già da oggi non si può parlare con realismo di un'unica rete - cioè un'infrastruttura intesa come insieme di cavi, centrali, server e armadi - nemmeno nel caso si farà la rete unica tanto sono diverse le architetture delle reti attualmente operative.

Fin qui - in modo rozzo - il tema dell'infrastruttura di trasferimento dei dati che dovrebbe portare - insieme al 5G - l'Italia nella dimensione più europea dell'internet superveloce, quello della velocità da un gigabit al secondo, del vero lavoro smart, della domotica e dell'industria 4.0.

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Chi porta internet a casa?
Internet arriva nelle case degli italiani attraverso il vecchio doppino telefonico, attraverso la fibra ottica, la banda larga wireless (via radio) e anche il satellite. A ognuno di questi «mezzi» è associata una velocità, spesso il download (cioè la ricezione o come si dice più volgarmente lo scarico) è più veloce della trasmissione, l'upload (p. es. la videochiamata)

Che internet abbiamo?
In Italia ci sono 114 milioni di chilometri di reti in rame (il doppino), gestiti da Tim che raggiunge il 99,4 per cento delle abitazioni, sui quali internet viaggia con la tecnologia Adsl. La velocità dovrebbe essere intorno a 20 Mb, am più realisticamente non supera i 5-7 Mb. Ci sono poi le reti in fibra e qua il discorso si complica perché ogni operatore misura la «lunghezza» della propria rete come vuole: chilometri lineari, chilometri totali (cioè l'insieme delle fibre all'interno dello stesso tubo, dove ci passa più volte), il complesso della fibra stesa (anche i cavi delle dorsali, le autostrade di internet, o i cavi sottomarini), o il numero delle abitazioni raggiunte in edifici o in abitazioni semplici. Inoltre c'è il segnale distribuito via etere in diverse modalità.

Quante fibre ci sono?
Ci sono due, anzi c'è una sola fibra, che però se arriva direttamente a casa si chiama FTTH e porta il segnale con una volecità di un Gb, se si ferma al cosiddetto armadio, cioè a quei parallelepipedi grigi che si vedono nelle nostre strade dove sono collegate le linee telefoniche, si chiama FTTC e viaggia al massimo a 200 Mb. Cioè si fa l'ultimo pezzo di strada - o ultimo miglio - sul doppino di rame.

La fibra è una novità?
La storia della fibra in Italia parte da uno dei più famosi e importanti centri di ricerca del Paese: il Cselt di Torino (gruppo Iri-Stet) che nel 1977 cablò quella città insieme alla Sirti e alla Pirelli che allora produceva i cavi (oggi le attività sono state cedute e la società si chiama Prysmian e ha anche uno stabilimento a Pignataro Maggiore in provincia di Caserta). Nel 1995 l'allora Sip lanciò il progetto Socrate per portare la fibra in tutte le case degli italiani, ma per tanti motivi si arenò.
Ad oggi possiedono estese reti in fibra Tim, Open Fiber, Fastweb (in sette città), Flash Fiber (una joint venture tra Tim e Fastweb) in 29 città, il Garr una consorzio pubblico che collega gli enti di istruzione e ricerca, e le reti più piccole e concentrate in aree territoriali o di business dei principali operatori telefonici.

Cosa ha fatto l'Italia?
Nel 2015 il governo resosi conto che in molte aree del Paese nessun investimento privato avrebbe avuto il suo ritorno economico con il rischio di tagliare fuori dallo sviluppo delle attività digitale milioni di italini ha deciso di costruire una rete di proprietà pubblica da mettere a disposizione di tutti gli operatori.

Che tempi ci sono?
La Strategia italiana per la banda ultra larga prevede entro il 2020 la copertura ad almeno 30 Mb per tutti i cittadini italiani; la copertura ad almeno 100 Mb per il 50% della popolazione. Per il 2025 è prevista la copertura in tutti gl iedifici strategici a 1 Gb al secondo, mentre la velocità minima deve essere a 100 mb.

Dove non c'è ancora la rete?
Il ministero dello Sviluppo Economico ha commissionato a Infratel Italia (società dello stesso ministero) uno studio che ha suddiviso il territorio in quattro insiemi chiamati cluster per identificare tipologia e costo di intervento per portare la banda ultra larga nei vari comuni. I cluster A e B, dove si trova circa il 60% della popolazione italiana sono definiti a successo di mercato, perché presentano già delle infrastrutture per le connessioni veloci. I cluster C e D, definiti anche aree a fallimento di mercato, riguardano invece prevalentemente aree rurali dove internet arriva a bassa velocità.

Perché fare la rete unica?
Il progetto della rete unica, cioè di un solo gestore che appunto gestisce e sviluppa le reti in fibra, nasce dall'idea che in questo modo si riesce a concentrare le risorse che servono per portare la fibra ovunque, operazione che richiede ingenti investimenti. Ad oggi nelle aree cosiddette a «fallimento di mercato», dove cioè non è conveniente per nessun privato investire, la rete è realizzata in parte da Tim, in parte da Open Fiber (società tra Enel e Cassa Depositi e prestiti) che si sono aggiudicata alcuni bandi dello Stato.

Quanti modelli di rete unica ci sono?
Lo scontro sulla rete unica è sul ruolo del gestore. Nel modello originario di Tim il gestore vende sia direttamente l'accesso, sia vende il traffico agli altri gestori. Nel modello di Open Fiber, quello della cosiddetta rete neutrale, il gestore è come un grossista: vende agli operatori telefonici il traffico e cura solo la manutenzione e lo sviluppo della rete.
Chi sostiene il modello Tim ne evidenzia come la neutralità rispetto all'offerta ai clienti sia garantita comunque dalle autorità, l'Antitrust e quella delle Comunicazioni, e che Tim, nella vendita dei servizi, non sarebbe altro che un operatore qualsiasi. Chi ritiene invece che il modello sia quello della rete neutrale pensa a una rete controllata dallo Stato e condivisa da tutti gli operatori. Il modello sarebbe quello di Snam Rete Gas.

Ci guadagnano gli utenti?
È da vedere.

Anzitutto bisogna capire i tempi della nuova società, perchè sarà una nuova società a gestire la rete in cui confluiranno asset di chi oggi possiede le reti. Poi bisogna capire se gli investimenti in corso proseguiranno o scatterà una fase di stand-by in attesa del nuovo piano industriale. E siccome questi investimenti riguardano le aree meno forti il rischio di penalizzazioni è dietro l'angolo. In teoria la rete unica dovrebbe avere servizi migliori, elevare la qualità della infrastruttura e servire le utenze con maggiore velocità e più ampia capacità. Ma è tutto da vedere.

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