di Vittorio Emanuele Parsi
Mercoledì 16 Marzo 2022, 00:13
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A mano a mano che la guerra procede e si fa più brutale, cresce la ricerca di un possibile mediatore, di quel “facilitatore” che possa consentire l’avvio di una trattativa per ottenere un cessate il fuoco immediato e, successivamente, una vera e propria tregua consolidata. In questi giorni si sono fatti i nomi di Cina e Israele, della Turchia e del Vaticano e, persino quello di Angela Merkel, l’ex cancelliera tedesca. Proveremo a vedere quali di questi potrebbe avere maggiori o minori probabilità di successo ma, innanzitutto, dobbiamo chiederci quali caratteristiche debba possedere un mediatore efficace (un “honest broker”, per dirla all’americana).

Innanzitutto, deve essere “ricevibile” da entrambe le parti, il che non significa equidistante. Poi deve essere in grado di esercitare pressione sul contendente più forte, per spingerlo a desistere da continuare o incrementare l’uso della violenza. Infine, deve poter costruire un cessate il fuoco in grado di “tenere” e non ostacolare, nelle sue premesse umanitarie, i futuri sviluppi politici della situazione. Come si vede, l’autorevolezza morale, il profilo etico, il prestigio personale rilevano assai poco, tanto più in un caso come questo, in cui la distinzione tra aggressore e aggredito è evidente ed è proprio l’aggressore che deve essere fermato.

Vaticano: il profilo morale di Papa Francesco è indiscutibile, il suo spirito di servizio nei confronti degli ultimi e degli sfruttati, la sua dedizione alla giustizia e alla pace ne hanno fatto una vera e propria icona vivente, che desta ammirazione e rispetto ben oltre il cerchio dei cattolici. Ma per le autorità ortodosse è il Papa di Roma. Le chiese ortodosse hanno una tradizione di condiscendenza, di collateralismo rispetto al potere politico che rimonta a Costantinopoli. Abbiamo sentito dichiarazioni imbarazzanti dalle gerarchie moscovite e persino di metropoliti delle varie comunità ortodosse sparse per il mondo. L’Ucraina è divisa tradizionalmente tra una chiesa di fedeltà romana e un’altra legata a Mosca e questa differenza è stata politicizzata deliberatamente da Putin e dal suo entourage nel corso degli anni. La possibilità del Vaticano di trovare udienza ed esercitare pressione sul governo russo è quasi inesistente.

Turchia: Erdogan ha trovato con la Russia un accordo in Siria. Ankara è stata associata all’instabile terzetto che con Mosca e Teheran ha chiuso la vicenda siriana. Ha comprato una batteria di difesa antiaerea dai russi, facendo infuriare Washington.

Ma nel Mediterraneo centrale e in Libia la Turchia e la Russia sono su fronti contrapposti, come a Cipro, dove oltretutto Putin mostra un occhio di riguardo verso la Grecia (Paese ortodosso). Certo, Erdogan è a capo di un regime e i suoi contrasti con l’Occidente sono stati molto aspri, cosa che lo rende meno insopportabile allo zar Vladimir. Ma Erdogan ha definito un errore fatale la debole reazione internazionale all’annessione della Crimea e ha venduto i suoi droni letali all’Ucraina. Non si capisce che cosa potrebbe offrire a Putin per spingerlo a più miti consigli. La suggestione turca credo fosse legata solo alla casualità temporale del vertice di Antalya. 

Israele: Se ne è parlato molto. Il governo di Tel Aviv ha costruito proprio negli anni di Putin un solido rapporto con la Russia, pur restando l’alleato di riferimento di Washington in Medio Oriente. Sia Putin sia Zelensky guardano senza pregiudizi al nuovo premier israeliano. Secondo il “Jerusalem Post”, finora la “mediazione” israeliana sarebbe consistita nel premere sugli Ucraini affinché smettano di combattere. Notizia poi ovviamente smentita. Non si capisce però quali potrebbero essere gli strumenti di pressione di Israele sulla Russia. Certo, Mosca e Tel Aviv hanno stabilito un modus vivendi in Siria molto prezioso per entrambi e questo ne facilità la comunicazione, ma il reclutamento di mercenari siriani da parte di Putin ci ricorda quanto tutto possa cambiare rapidamente.

Angela Merkel: la donna della provvidenza? No grazie. In politica europea l’ex cancelliera ha sempre mancato di visione. La tetragona capacità di ascoltare qui non serve, qui occorre quella di convincere. E sulla base di che cosa?

Cina: è il solo candidato credibile, almeno in questa fase. È un alleato decisivo della Russia, sicuramente non ha gradito il caos scatenato da Putin, ma lo ha sostenuto. Mosca sa benissimo che il suo appoggio è decisivo. È il piano B di Vladimir rispetto alle sanzioni. Per questo, Xi ha sicuramente “leva” su Putin. Ma finora non ha dato il minimo segnale di volerlo trattenere. In un mondo post-occidentale l’alleanza tra i due autocrati può profilarsi come l’asse portante del sistema. Che però vedrebbe Mosca in posizione subalterna. Entrambi lo sanno e la performance non “entusiasmante” dell’Armata Rossa rafforza questa evidenza. Ma se le cose dovessero ulteriormente complicarsi per Mosca, Pechino è la sola che potrebbe offrirgli una via d’uscita. Sempre che lo voglia fare. 

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