Aldo Balestra
Diritto & Rovescio
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Dal sisma al coronavirus
«Tutto andrà bene»

I soccorsi nel terremoto in Irpinia e operatori sanitari impegnati a curare malati di Coronavirus
I soccorsi nel terremoto in Irpinia e operatori sanitari impegnati a curare malati di Coronavirus
di Aldo Balestra
Venerdì 13 Marzo 2020, 13:44 - Ultimo agg. 14:19
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«Coronavirus, a Genova una nave ospedale. A Milano ipotesi fiera» (Ansa, 13.03.2020, ore 11.24)
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Una nave a Genova e i padiglioni della Fiera a Milano, come luoghi d'emergenza dedicati alla cura degli ammalati da Coronavirus, per alleggerire ospedali ormai vicini al crash. Sono i giorni cruciali dell'Italia in lotta con il Covid 19. L'Italia, giustamente, chiusa in casa e quella che lavora senza sosta - con il senso del dovere e l'ulteriore generosità che viene fuori nei momenti disperati - per contenere e far regredire una pandemia mondiale. La pandemia che altri Paesi, ben più avanti di noi in tante cose, continuano incredibilmente a sottovalutare.

E' difficile reperire nel libro della storia più recente una situazione d'emergenza paragonabile, nella difficoltà complessiva, a quella attuale. Quaranta anni dopo mi è venuto spesso da ripensare al dolore, alla paura, all'incertezza e allo smarrimento provati - ed era una parte molto limitata d'Italia, Campania e  Basilicata - dopo il sisma del 1980. Allora il «nemico» era arrivato all'improvviso, imprevedibile, violento e istantaneo, lasciando in 90 secondi il risultato devastante di oltre 3mila morti, feriti, danni immensi. La distruzione immediata, senza poter dire «se» e «ma». La devastazione, la morte, la perdita degli affetti, delle case. I ritardi, le difficoltà, la sfiducia, la paura che nulla sarebbe stato più come prima. Auto e tende al posto delle case, per mesi. Danni che avrebbero sconvolto e segnato, per decenni a seguire, le aspirazioni, i progetti di intere generazioni, il tessuto sociale di una parte d'Italia.

Epperò si scoprì pure la generosità, l'altruismo, il coraggio di chi si spese per gli altri, insieme agli altri. Si poteva collaborare, soffrire, sperare, contribuire a ricostruire, dare una casa - sì, un posto che almeno le somigliasse - a chi ne aveva bisogno. Potevi agire in prima persona e dare una mano, c'era il contatto umano, lo stare insieme. Darsi coraggio reciproco era il modo per essere più forti contro un disastro che aveva prodotto tutti, e tutti insieme, i risultati devastanti del suo agire.

Qui e ora, all'epoca del Coronavirus, non è stato semplice percepire per tempo, e far comprendere rapidamente, la pericolosità della minaccia. Non la vedi, non la senti, non ne hai la percezione sin quando non ti investe. Eppure hai la grande possibilità di combatterlo prima che arrivi, nella sicurezza delle case, nella consapevolezza vigile che la rinuncia tua è garanzia per te e per gli altri, che nell'epoca dei tanti, urlati diritti deve esserci, ineludibile, quella dei silenziosi doveri. Lasciando a chi è chiamato per funzione il compito di esercitare il difficile, e a tratti disperato, compito di aiutare gli altri, in un unico spazio-tempo di possibile contatto umano, che a tratti diventa - purtroppo - solo pietas.

Nell'immediato dopo-sisma i soccorritori davano coraggio. Dicevano «ce la farete, forza, non mollate». Erano accanto a chi soffriva, con le loro mani sporche di polvere delle macerie potevano persino far sentire il calore dei loro corpi. Oggi, ai tempi del Coronavirus, chi ci soccorre è chiuso in uno scafandro nella speranza di non ammalarsi e ci dice di rimanere in casa, perchè manco ce lo immaginiamo quel che accade nelle terapie intensive. Come negli ospedali da guerra, ma in una guerra che non vediamo.

Se nel 1980 si pensava che la forza, il vigore nelle braccia dei soccorritori sarebbe stata utile davanti ai danni evidenti della scossa, oggi va invece assunta la consapevolezza che la pazienza, l'attenzione, la modifica temporanea degli stili di vita costituiscono il miglior antidoto ai danni invisibili di un subdolo ma non invincibile virus. 

E sono i bambini, tanti, con i loro disegni colorati diffusi via social, a diffondere una frase che guarda lontano e che riemerge dalla storia di Giuliana, una mistica cristiana inglese (così rassicurava chi si rivolgeva a lei mentre gran parte del Paese, tra il XIV e XV secolo, era alle prese con una devastante peste). E' dai bambini come Giorgio, sei anni, che possiamo imparare a coltivare la consapevole speranza in giorni incerti come questi.
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«Tutto andrà bene» (Giuliana da Norwich)
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