Tra i palazzi del Covid, a Mondragone la miseria fa più paura

Tra i palazzi del Covid, a Mondragone la miseria fa più paura
Venerdì 26 Giugno 2020, 08:24 - Ultimo agg. 08:25
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Il nastro è teso dal lampione alla ringhiera di fronte ai cinque palazzi Cirio, avvolge gli alberi e le aiuole: segnala la zona rossa. È questa, una linea sottile e mobilissima, l'ultima frontiera del pericolo nell'emergenza Coronavirus: di là, oltre la segnaletica, si contano già 40 contagiati e i casi continuano ad aumentare. Inutilmente, i militari bloccano i varchi d'accesso per cercare di limitare la trasmissione dell'infezione. Fermano una Panda e una A3, ma i passaggi sono tanti, troppi e stretti, nascosti in mezzo alle saracinesche abbassate: il cordone di sicurezza appare sfilacciato in più punti. Lo dimostrano i video pubblicati su Facebook dagli abitanti del complesso popolare, preoccupati e furiosi: è andata più o meno così anche l'altra notte. «Li ho visti scavalcare dal giardino: tre bulgari pronti a violare l'ordinanza per raggiungere i campi agricoli», racconta Gianfranco Esposito, 52enne dallo sguardo gentile, il borsello a tracolla e la mascherina, colpito dalla crisi. «Faccio il rappresentante di accessori di informatica: attività sospesa dal lockdown. Ora, per coerenza e necessità, andrebbe chiusa l'intera città».

Ma, a giudicare dai dati elaborati dalla Cgil, la paga per i braccianti è più bassa persino che a Rosarno, il paese calabrese diventato simbolo della rivolta degli immigrati contro i caporali. Solo tre euro all'ora per gli uomini, la metà alle donne, 75 centesimi agli under 18. O qualcosa in più, per chi accetta un compenso a cassetta colma di pomodori, pesche, albicocche, fagiolini. «Mia mamma riesce a guadagnare 35 euro, l'affitto è di 450 per tre camere», racconta un bimbo che invece frequenta la scuola: è tra i pochi a parlare l'italiano. Sopravvivere dunque significa provare a bucare la rete di protezione anti Covid. Tentare di passare dall'altra parte, perché dentro o fuori si è sempre nel posto sbagliato. Può essere disperazione o incoscienza a motivare la fuga, ed è impossibile individuare tutti gli irregolari, eventuali asintomatici portatori della malattia nei dintorni.

Manca pure un censimento affidabile: secondo il report dei vigili urbani, risultano circa 850 residenti, probabilmente 550 sono quelli effettivi. Ma poi ci sono gli abusivi e, tra loro, i numerosi immigrati dall'Est Europa. E il tampone si fa esclusivamente su base volontaria ai banchetti della Croce Rossa con 5 attivisti in tuta e Massimo D'Alessio che assieme al presidente del comitato Teresa Natale coordina il via vai di provette, oltre 700 già spedite. Uno screening esteso anche ai non residenti nei palazzi Cirio. Difatti, arriva Annamaria Pagliara, la responsabile anagrafe del Comune: «Sono a contatto con il pubblico, per questo i miei responsabili mi hanno consigliato l'esame». Al contrario, «gli stranieri che alloggiano nella zona rossa sono diffidenti: temono di non poter lavorare per settimane, in caso di contagio, e non si fanno avanti», chiarisce D'Alessio. E nemmeno tutti i positivi al test sono reperibili.

«Oggi ne stiamo cercando 19», afferma l'energico comandante della polizia locale, David Bonuglia, che non smette per un attimo di chiedere rinforzi e presidi. In serata è prevista l'installazione di quattro fari per migliorare il monitoraggio: «Ma da qui i bulgari sono scappati soprattutto prima che scattasse il provvedimento restrittivo, quando hanno visto posizionare i new jersey», precisa. Nessuno può dire quanti siano evasi e adesso dove siano. Ma il direttore del distretto sanitario di Mondragone, Severo Stefanelli, guida con piglio deciso le operazioni per isolare i casi conclamati, trasferendo i pazienti all'ospedale di Maddaloni. «Tutti bulgari, al momento, intere famiglie anche con bambini, più una connazionale», spiega, ammettendo che la situazione è complicata dalle condizioni di promiscuità e povertà, trasversali e diffuse.

Una bandiera dell'Italia sventola tra antenne, pigiami, parabole, costumi da bagno adagiati sui balconi. Dall'undicesimo piano fin giù, a ogni angolo, la tensione si avverte tra comunità che condividono pianerottolo, ascensore e marciapiede, ma restano distanti. «Io sono rinchiuso come un topo, senza poter lavorare a giornata, e gli stranieri fanno quello che vogliono: li ho visti io spostarsi con i materassi per la via», sostiene Paolo Vigilante, 54 anni, indicando il suo appartamento del palazzo "Roma". «Vengono anche gli amici a bere birra, sporcano le scale e il parco», interviene Stanislava («E basta, senza cognome»), polacca dal 2011 felicemente sposata con un napoletano. «Di tutto questo, cosa dice de Luca? Perché non viene...», domanda un altro inquilino. E Antonio Serrano, 45 anni, che riceve il reddito di cittadinanza («Ma nessuno mi ha ancora chiamato per propormi un impiego»), chiede più interventi di sanificazione: accanto all'ingresso del civico 65, i bidoni per i rifiuti differenziati traboccano, vicino al cancello c'è un tappeto di spazzatura.

In fondo al viale, un gruppetto di donne e ragazzi dall'accento slavo non si cura dei dispositivi di protezione: mentre sulla strada principale è sistemato, dalle 8 alle 20, il furgoncino di Antonio Amato. «Certo che sono preoccupato, visto che mi trovo a due passi dall'area delimitata dalle autorità, ma devo pur mantenere i miei tre figli», sostiene, spiegando dall'allerta sanitaria incassa comunque poco o niente, vendendo le patate di Avezzano e il cocomero a tre euro. Non è l'unico temerario: «Riparo borse, scarpe, cinture e non posso permettermi altri giorni di stop dopo già oltre due mesi di serrata forzata», spiega Tonino Triglia, 59enne, titolare di Don Juan, proprio nella piazzetta. Fissa, con i suoi occhi azzurrissimi, tra i blindati, Raffaele Tranchino, che a 83 anni si fa forza sul bastone e lamenta che la razione di cibo della Protezione civile, attesa per pranzo, nel pomeriggio non è ancora arrivata. «Ricevo una pensione di 620 euro al mese, sconto un debito di 5000 euro per il funerale di una mia nipote, e un altro nipote abita con me, ma mia figlia che si arrangia non può percepire nemmeno quei 15-20 euro al giorno, a causa delle restrizioni. Il pigione è di 350». L'anziano ha fame e non ce la fa più a restare a casa. Ad aspettare. Come per gli altri, bulgari e no, la miseria fa più paura del Covid.
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