Sono ancora loro, i testimoni, a reggere sulle spalle il fardello del Giorno della Memoria. Sami Modiano, 90 anni, deportato a Birkenau quando ne aveva 13, che al Quirinale dice: «Io sono ancora lì, non potrò mai uscirne, i miei occhi hanno visto ammazzare ebrei, omosessuali e disabili, i ragazzi di oggi non dovranno vederlo, sono la nostra speranza». Tatiana Bucci, 83 anni, deportata con la sorella Andra quando ne avevano 6 e 4 , sopravvissute perché ritenute gemelle utili agli esperimenti di Mengele, che mostra il libro Noi, bambine ad Auschwitz e dice: «La prima lingua in cui è stato tradotto è il tedesco. Loro hanno fatto i conti con la storia, l’Italia ancora no». La senatrice a vita Liliana Segre, 90 anni, che dopo l’intitolazione dell’asteroide 75190, come il numero tatuato sul suo braccio, ieri ha ricevuto la laurea honoris causa in Scienze della pace a Pisa e continua a ripetere: «Non ho mai perdonato, come non ho mai dimenticato».
UN SENTIMENTO CIVILE
Oltre a centinaia di eventi in tutta Italia, le celebrazioni ufficiali per il Giorno della Memoria, a 76 anni dall’apertura dei cancelli di Auschwitz, si sono svolte al Quirinale, senza pubblico ma alla presenza del Capo dello Stato Sergio Mattarella, del premier dimissionario Conte, dei presidenti di Camera e Senato e dei rappresentanti dell’Unione delle Comunità ebraiche.
«Fare i conti con la storia nazionale», come ha precisato anche Noemi Di Segni, presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane: «Il fascismo è una piantagione di veleno per la società italiana intera di cui non si ha contezza di verità e pervasività e di cui non si è ancora udita sufficiente condanna - ha detto - Serve un piano strategico per combattere l’antisemitismo, conoscere le radici di questo male italiano è necessario per comprendere di cosa si nutrono coloro che oggi ne ripetono motti e ne rivestono i simboli». La sintesi allo scrittore Eraldo Affinati, ospite al Quirinale: «Procediamo come quei soldati russi che entravano nel lager con un “confuso ritegno” come disse Primo Levi. Ma abbiamo un compito ineludibile, quello di intervenire appena vediamo un oltraggio ai valori. Qui e ora, nella vita pubblica e privata. Perché Auschwitz non è alle nostre spalle, ma davanti a noi».