Premio Messaggero per i giovani. Beatrice Bruschi: «Non bisogna vergognarsi, i veri deboli sono i bulli»

Premio Messaggero per i giovani. Beatrice Bruschi: «Non bisogna vergognarsi, i veri deboli sono i bulli»
Premio Messaggero per i giovani. Beatrice Bruschi: «Non bisogna vergognarsi, i veri deboli sono i bulli»
di Ilaria Ravarino
Mercoledì 27 Gennaio 2021, 01:12 - Ultimo agg. 29 Gennaio, 07:53
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A 24 anni Beatrice Bruschi è diventata il simbolo della diversità che resiste al bullismo e agli stereotipi, interpretando la parte di Sana, una ragazza musulmana con il velo, nella serie cult sulla vita degli adolescenti Skam Italia, distribuita da Netflix. Protagonista della quarta stagione nei panni di una ragazza che ama l’Islam e va in discoteca, l’attrice torinese – che al tema del bullismo ha dedicato un capitolo del suo libro, Nessuna differenza – Come ho capito che le emozioni ci rendono tutti uguali - ha realizzato quanto sia importante «coltivare la curiosità e informarsi sulla vita di chi ci sembra diverso. Tutti noi ci portiamo un miracolo dentro. Chi ha ucciso Willy Monteiro lo ha sprecato». 

Quanto è diffuso il bullismo fra i ragazzi?
«Tantissimo, con modalità diverse: fisico, verbale, virtuale.

Ce ne sono di tanti tipi e tutti gravi allo stesso modo. Nel mio libro parlo di ciò che ha vissuto una mia compagna di classe». 

Cosa è successo? 
«Era stata ripresa in intimità con il fidanzato e quelle immagini hanno fatto il giro della scuola. È diventata il bersaglio delle critiche, come se fosse colpevole di qualcosa. Si sentiva con il mondo contro: quando sei vittima di bullismo, anche se a prenderti in giro sono in tre, ti sembra che a odiarti sia l’universo intero». 

Le è mai capitato? 
«In adolescenza capita un po’ a tutti di sentirsi “tirati in mezzo”. Quello della scuola è un periodo complicato. È importante non perdere di vista i propri punti di riferimento: i genitori, un amico, magari un professore. Un insegnante di teatro, l’allenatore di uno sport». 

Il suo punto di riferimento? 
«A me è servita la musica». 

Cosa direbbe a chi si deve difendere dal bullismo? 
«Che deve parlarne con qualcuno. So che è difficile, perché il primo sentimento che si prova è la vergogna. Ma bisogna avere il coraggio di farlo». 

E al bullo? 
«Stessa cosa: parlare. Perché il vero debole è lui, che non ha la forza di reagire al suo disagio e scarica la frustrazione sugli altri. Il bullo deve fare i conti con il dolore. Prima di diventare come gli assassini di Willy». 

La violenza tra i giovani: perché? 
«Un ragazzo violento ha un problema di accettazione. Lo fa per sentirsi figo agli occhi degli altri. È importante perciò che i coetanei non siano complici». 

Accade più adesso di prima? 
«Da una parte i ragazzi oggi sono più esposti al problema dei finti miti. Anche a 11 anni si lasciano mettere in crisi dai modelli: si specchiano su Tik Tok e si sentono inadeguati. Dall’altra hanno un senso del gruppo e della comunità più forte e coeso». 

I fan di SKAM cosa le dicevano? 
«Di tutto, anche cose molto forti. Qualcuno mi confidava di aver pensato al suicidio. SKAM ha dato speranza ai ragazzi in crisi, perché si sono riconosciuti. Non si sono sentiti più soli. Per qualcuno è stato un punto di riferimento». 

La tv può fare la differenza? 
«Se fatta bene, è fondamentale. L’importante è che non si metta al di sopra dei ragazzi, ma alla pari. I protagonisti di SKAM hanno le loro vite i loro problemi. Ma basta affacciarsi al liceo Kennedy di Roma, dove abbiamo girato la serie, per trovare mille adolescenti come loro». 

Di cosa hanno bisogno i ragazzi?
«Spesso solo di qualcuno che dica: ti capisco». 

Le scrivevano anche ragazze musulmane? 
«Tantissime. Una mi ha detto che dopo aver visto la serie l’hanno chiamata le sue vecchie compagne di liceo per chiederle scusa: non l’avevano capita. A Trastevere mi ha fermato un ragazzo musulmano per ringraziarmi. Diceva che quello che stavamo facendo era importante». 

E sulla Rete l’hanno attaccata? 
«Più per strada, quando prima di girare la serie facevo le prove e andavo in giro col velo. Le ragazze musulmane si sentono molto giudicate per questo. Qualcuno invece diceva che, non essendo musulmana, non avrei potuto capire. Ho fatto i provini, mi hanno scelta, mi sono documentata: ed è stata la parte più bella di questa esperienza». 

Che cosa ha imparato? 
«A mettermi nei panni dell’altro. Sono grata al destino per avermi permesso di incontrare un personaggio come Sana».
 

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