Si apre uno spiraglio di cura nel neuroblastoma, il tumore solido extracranico più frequente dell'età pediatrica. Un trattamento a base di cellule CAR-T, cellule immunitarie prelevate dai pazienti e modificate geneticamente per riconoscere il tumore, ha mostrato per la prima volta efficacia nella maggioranza dei pazienti affetti dalla forma più grave della malattia. Il trattamento è stato messo a punto da medici e ricercatori dell'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma; i dati relativi alla prima sperimentazione condotta su 27 pazienti sono stati illustrati sul New England Journal of Medicine.
Il trattamento si è dimostrato sicuro ed efficace: il 63% dei pazienti ha presentato una risposta al nuovo trattamento e più della metà di essi è andato incontro a una remissione completa di malattia.
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Il neuroblastoma nei bambini
Il neuroblastoma è il tumore solido extracranico più frequente dell'età pediatrica e rappresenta circa il 7-10% dei tumori nei bambini tra 0 e 5 anni. In Italia vengono formulate circa 120-130 nuove diagnosi all'anno. Ha una prognosi peggiore di altre neoplasie dell'età pediatrica: nelle forme metastatiche o ad alto rischio di ricaduta, la probabilità di guarigione definitiva è del 45-50%. In caso di ricaduta o di malattia refrattaria alle cure convenzionali, tuttavia, la possibilità di sopravvivere a 2 anni non supera il 5-10%. La sperimentazione ha riguardato questo tipo di malati: 27 pazienti di età compresa tra 1 e 25 anni che si erano già sottoposti a numerosi tentativi di cura. Tra il 2018 e il 2021 i pazienti sono stati trattati con l'infusione di cellule CAR-T di terza generazione.
Si tratta di linfociti T prelevati dal paziente stesso e modificate geneticamente per presentare sulla propria superficie il CAR (Chimeric Antigen Receptor), una molecola sintetica in grado di riconoscere il bersaglio tumorale (nel neuroblastoma è la molecola GD2) e di indirizzare i linfociti T contro le cellule malate. A differenza delle CAR-T di seconda generazione, i ricercatori hanno aggiunto ai linfociti T un ulteriore mix di molecole che accresce l'efficacia e la persistenza dei linfociti T ingegnerizzati. Inoltre, come ulteriore misura di sicurezza della terapia, è stato inserito un gene suicida (definito Caspasi 9 Inducibile o iC9) che blocca l'azione dei linfociti T modificati in caso di effetti indesiderati non controllabili con le convenzionali misure farmacologiche. Lo studio è stato realizzato grazie al contributo di Fondazione AIRC, ministero della Salute, Aifa e Fondazione Italiana per la Lotta al Neuroblastoma.