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I segreti degli chef stellati della provincia di Latina: «Qualità senza compromessi»

di Luigi Biagi
Articolo riservato agli abbonati
Giovedì 10 Novembre 2022, 13:06
3 Minuti di Lettura

«Costanza e qualità, senza piegarsi a compromessi». È questo il segreto degli chef pontini che hanno visto confermata la stella Michelin per l'anno prossimo. I locali stellati della provincia di Latina sono tre e si trovano a Ponza, Terracina e Pontinia. Tutti hanno lavorato duro per mantenere gli standard richiesti dalla guida, e sono soddisfatti per la conferma. Ognuno di loro ha preparazioni e impostazioni diverse, ma tutti hanno qualcosa in comune: sono concordi nel pensare che per tenersi la stella Michelin sono necessari impegno costante e serietà nel lavoro. E ritengono «importante» il rapporto con i luoghi in cui si trovano, di cui si sentono rappresentanti.

«La base di tutto il nostro pensiero nasce dall'amore che hai per un territorio» afferma Fabio Verrelli D'Amico, del ristorante Mater1apr1ma di Pontinia, che valorizza la carne di bufalo, ritenendola «una delle poche eccellenze vere» di quella zona. «Il ristorante aggiunge - rappresenta un luogo e la sua identità, raccontandone gli eccezionali prodotti». «Nei limiti del possibile diamo valore alle aziende locali ma a contraddistinguerci sono la semplicità dei gusti e la stagionalità» afferma Simone Nardoni, chef di Essenza, a Terracina. «Vogliamo che agli ospiti giunga la purezza dei gusti» spiega lo chef, che sintetizza: «Sono le temperature stagionali a dettare il menù, che va dal pesce nei mesi estivi alla carne di quelli invernali».

Punta tutto sul «pesce selvaggio del nostro mare» Gino Pesce, di Acqua Pazza a Ponza, stellato dal 2006. «Non è necessario il piatto gourmet per raggiungere la stella Michelin confida - ma serve una cucina seria e pulita, con una qualità alta della materia prima, perché una cucina semplice non la puoi coprire con nulla, per questo non si può lasciare niente al caso, sia che si tratti di cucina moderna o di tradizione».

Per tutti la stella Michelin ha un alto valore, perché per i clienti rappresenta una garanzia di qualità, tanto che entrano nei locali stellati «con maggior rispetto». Anche perché quando si siedono al tavolo cercano qualcosa di eccezionale, anche nella semplicità e comunque di non banale. «Oggi non si va in un ristorante stellato per mangiare solo un piatto - spiega Fabio Verrelli D'Amico - ma per fare un percorso esperienziale tra otto-dieci degustazioni, che inizia con un benvenuto da parte del ristorante, prosegue con una sequenza di portate che rappresentano lo stile e il pensiero creativo dello chef e si termina con le coccole finali legate alla pasticceria».

Ma c'è anche la ricerca e l'adeguamento alle tendenze di mercato da tenere in considerazione. Tra le chiusure per le norme anti Covid degli anni scorsi e le bollette energetiche, il settore sta cambiando. «La ristorazione sta prendendo due strade precise spiega Verrelli D'Amico - con una sempre più accentuata divisione tra l'alta ristorazione da quella medio bassa, riflettendo l'andamento della società. A livello sociale afferma - il ceto medio è sempre più in difficoltà nel rapportarsi con un ristorante medio alto e sempre di più nascono attività di bassa fascia, questo fa si che ci sia sempre più carenza di ristoranti medi». Poi in alcuni casi c'è un problema di arrivismo. «Quel che più mi spaventa rivela Simone Nardoni - è che si sta perdendo la formazione, che costituisce l'identità dei ristoratori. I ragazzi vogliono arrivare subito alle preparazioni gourmet senza averne le basi. E invece penso aggiunge - che la via più dura, quella della vecchia e sana gavetta, è insostituibile ed è la spina dorsale sulla quale si fonda la ristorazione».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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