Giovani, si fa presto
a dire «choosy»

Sabato 3 Novembre 2012, 09:58 - Ultimo agg. 15:35
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Caro direttore, si fa presto a definire i nostri giovani "bamboccioni" o peggio ancora "choosy" quando esistono datori di lavoro che non riconoscono n titoli di studio, n capacit e tantomeno competenze: per loro vale solo il profitto personale. Se siamo arrivati al punto che i giovani italiani sono diffidenti e vorrebbero "quel lavoro e non un lavoro" come dice qualche insigne opinionista lo dobbiamo proprio a coloro che intendono sfruttare i giovani non retribuendoli in modo adeguato rispetto a competenze e capacità.



La paga standard di un giovane lavoratore è 400-500 € mensili. Dopo anni di lavoro e di esperienze si guadagna qualcosa in più. Non credo sia giusto che giovani laureati, con master e/o specializzazioni, debbano essere sottopagati quando la legge sui rapporti di lavoro dice tutt'altro. Perché questa compiacenza e tolleranza verso gli imprenditori di qualunque livello siano che non ottemperano alle leggi basilari dei contratti di lavoro?



Facile fare demagogia e dire che i giovani non sono reattivi quando c'è una realtà evidente sotto gli occhi di tutti. Inviterei pertanto i soloni mediatici ad avere più rispetto per i nostri giovani, di prendere atto dei sacrifici che hanno fatto o che fanno per conseguire titoli di studio e di essere meno ipocriti verso di loro. I "guru" mass-mediatici dovrebbero invece esortare i datori di lavoro ad agire legalmente e retribuire meglio i loro dipendenti. Meno lucro personale più giustizia sociale. Questo dovrebbe essere il motto dei nostri politici e/o opinionisti altro che "choosy"!





Annibale Nuovanno - SAN NICOLA LA STRADA



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Caro Nuovanno, la battuta del ministro Fornero sui giovani «choosy» ha aperto un caso spinoso su quali siano le responsabilità e sui colpevoli di questo stato di cose. La colpa è dei giovani troppo schizzinosi nello scegliere un lavoro? O la causa sta magari in un mercato che, in discesa libera, non offre chances nemmeno al più volenteroso degli aspiranti lavoratori?



Partiamo, sulla base di ferree statistiche, dall’assenza di opportunità in un contesto che vede chiudere e non aprire nuove aziende. Le misure del governo con gli aiuti alle cosiddette start up, aziende innovative che sorgono in velocità misurandosi in tempo reale con le difficoltà del mercato. Molte di queste vedono protagonisti i giovani, ma vanno chiaramente sostenute e aiutate.





L’altro aspetto è la cultura del posto fisso, miraggio a cui le nuove generazioni non possono e non devono più credere. Se la Fornero intendeva con quel «choosy» riferirsi a coloro che ambiscono a questo lascito novecentesco in tema di occupazione, allora si può essere anche d’accordo. Non certo se alludeva alla scarsa elasticità o alla schizzinosità giovanile nel trovare un lavoro.





Evidente che oggi non si può più ambire a fare necessariamente il mestiere o la professione per la quale ci sentiamo tagliati sin dalla scelta del corso di studi. E questa è una stortura da correggere, uno squilibrio che ci dice quanto si sia inceppato fino a saltare il meccanismo sano di incontro tra domanda e offerta. Però, va riconosciuto con onestà, ci sono molti casi in cui si troverebbero lavori che però vengono scartati in partenza perché non ritenuti degni o appropriati e che invece sono scelti, per necessità, dai lavoratori immigrati. Questi sì, nient’affatto «choosy». Senza aggiungere poi che in mercati occupazionali più flessibili, un lavoratore può partire da mestieri meno gratificanti fino a scalare posizioni alte. Ecco, questo è l’obiettivo a cui tendere.









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