Conoscere le lingue ​senza scordare l'italiano

Conoscere le lingue senza scordare l'italiano
di Federico Monga
Lunedì 21 Giugno 2021, 08:00
2 Minuti di Lettura

Caro direttore,
sta prendendo spazio, sui muri delle nostre città, una serie di manifesti che invitano a frequentare corsi di cinese, di arabo e di russo, definite le «lingue del futuro». Testi tutti stampati nelle lingue che invitano ad imparare. Niente da eccepire, anche questa è logica di mercato. Con l’inglese che da tempo è diventato la lingua ufficiale anche del nostro Paese, se si considera che tutto ciò che conta, nell’economia e nella politica; nell’arte e nello sport; nella pubblicità e nella ricerca, viene trattato ed espresso in questa lingua. Per non parlare del linguaggio «sociale» e dell’informatica, tutti realizzati con la lingua di Albione. C’è speranza, caro direttore, che per le nuove generazioni ci sia spazio per la nostra bella lingua madre che niente ha da invidiare agli idiomi degli altri Paesi? Chi scrive, «sorpreso» dalla modernità, viene dalla lettera 22… Altri tempi, altri linguaggi.

Luigi Antonio Gambuti
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Caro Luigi,
purtroppo, secondo il report annuale dell’English Proficiency Index, l’istituzione che rileva il livello di conoscenza dell’inglese, la padronanza della lingua da parte degli italiani è fra le più basse d’Europa. Siamo 36esimi al mondo e 26esimi nel continente, staccati di venti punti dai primi (Olanda, Svezia, Norvegia, Danimarca) ma anche di dieci punti da Paesi che hanno inserito e potenziato nei programmi scolastici lo studio della lingua solo negli ultimi decenni, come la Polonia e il Portogallo. Fra le maggiori economie dell’Eurozona – Germania, Francia, Italia e Spagna – siamo quelli che parlano peggio la lingua universale. Se si aggiunge il vezzo o la moda di utilizzare sempre più parole inglesi la frittata è fatta: così, oltre a non saper parlare la lingua universale, non difendiamo nemmeno la nostra. Tra le urgenze del nostro Paese c’è l’aggiornamento dei programmi scolastici e all’interno di questi credo che si dovrebbero anche inserire le lingue della globalizzazione, il cinese e l’arabo. Per non trovarsi ancora più esclusi, rinvangando un passato che non c’è più

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