La zona è dominata dal santuario del santissimo Salvatore, posto a quasi mille metri di altezza. Proprio sotto l'edificio di culto c'è la prima cascata, detta della Lavandaia: secondo la leggenda una bella fanciulla che era solita pulire i panni nel fiume fu sedotta un nobile locale che la mise incinta; per nascondere il figlio della colpa l'avrebbe affogata in una delle pozze.
Siamo a Montella, cuore dell’Irpinia, alle sorgenti del fiume Calore. Nel folto di una vegetazione fitta si dipana il corso d’acqua tra anse e piccole spiaggette da cui è comodo fare il bagno. Il primo tratto del fiume è compreso nella fattoria Rosabella, i titolari dell’azienda agricola l’hanno trasformata in un bioparco: l’ingresso costa 10 euro e dà accesso a un’area verde pulita e fresca, d’estate piuttosto frequentata da chi, alle spiagge affollate e afose, preferisce l’acqua dolce e le radure.
Diverse le proposte, oltre allo sguazzare in acqua tra le trote fario e l’oziare sui comodi prati che circondano il Calore. Tra querce e cerri ci sono tavoli e sedie in legno, oltre alle postazioni per la brace, tutte dotate della piccola forca con cui si arrostisce il celebre caciocavallo impiccato; lo si può comprare nel piccolo spaccio che fornisce i prodotti dell’azienda: pecorino da intingere nel miele, prosciutto e soppressata, da accompagnare a un Aglianico tanto economico quanto sprovvisto di solfiti. Comodi percorsi tra le rocce e le siepi, tutto il giorno all’ombra, conducono alla conoscenza del bosco e delle altre cascate. La più gettonata tra i ragazzi del posto si chiama Madonnella: alcuni massi costruiscono trampolini ideali per i tuffi nella forra, profonda abbastanza per poterci nuotare, se si resiste alla temperatura gelida e al venticello mosso dall’acqua che fornisce alla zona un’aria condizionata naturale.
Per i bambini c’è una fattoria didattica segnalata dai ragli di un «ciuchino» e dalla presenza, quasi augurale, di un bellissimo pony nel parcheggio. I panorami e la vista degli alberi danno sollievo anche nelle giornate in cui Caronte imperversa, il resto lo fa il silenzio e la discrezione del personale.
Ma l’Irpinia è tutta contraddistinta dall’acqua e la cosa non smette di stupire, al Sud, in un periodo di siccità in molte zone d’Italia. D’estate resiste perché arriva da uno dei bacini idrografici più ricchi d’Europa, quello che sgorga dai monti Picentini. Un esempio è l’oasi Wwf Valle della Caccia nel comune di Senerchia, al confine con la provincia di Salerno, lato Contursi: con soli 5 euro si accede a una vera meraviglia di 450 ettari distribuiti su alture e boschi. Il protagonista è l’Acquabianca, un torrente che disegna rivoli da sogno sul comodo sentiero – di circa venti minuti – che si conclude in una cascata. È l’attrazione principale: a una trentina di metri, dalla roccia, sbuca un getto d’acqua che inonda di fresco la radura, mentre qualche temerario prova a starci sotto, non più di qualche secondo per la forza della corrente e per il gelo istantaneo che procura. Tutto intorno è natura incontaminata, fontane d’acqua purissima, panchine in legno per rilassarsi.
Parlando dell’acqua non si può non citare Caposele, il paese che trae gran parte della sua storia da questa risorsa. Fino al secolo scorso gli abitanti, tra i mulini per la macina del grano e quelli per la concia delle pelli, godevano di un’economia tra le più floride del Mezzogiorno, appollaiati su una piccola Venezia in discesa in cui ogni casa era praticamente una mini isola, come si vede nelle foto d’epoca. Poi è arrivato lo Stato e una decisione: da là sarebbe partito l’acquedotto pugliese. Giuseppe Ungaretti, nel 1934, impressionato dalla potenza delle acque provenienti dall’interno della montagna che si incanalano nel primo alveo, scrisse: «L’acqua scivola sveltissima, in una specie di foro tenebroso, e si perde in quell’occhio». A raccontare le vicende di Caposele legate all’acqua ci sono giovani guide che portano a visitare una struttura in pietra dove, ufficialmente, nasce il Sele; l'esperienza è a ingresso gratuito, come il suggestivo parco fluviale alle porte del borgo.
A poca distanza si trovano le cascate di Calabritto, dette del Bard’natore. Dopo un sentiero lungo ma comodo, immerso nell’ombra di una faggeta e ben tracciato da un’associazione locale, si può arrivare ad ammirare il sistema di 14 salti, fermarsi sulle rive del torrente Zagarone, ammirare il vallone del Lupolo e fotografare alcuni rifugi che un tempo ospitavano i briganti.