Riccardo Cotarella: «Basta stregoni
scienza alleata del vino, non nemica»

Riccardo Cotarella
Riccardo Cotarella
di Luciano Pignataro
Sabato 18 Novembre 2017, 11:38 - Ultimo agg. 15:10
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«La scienza della sostenibilità del vino». È il tema del nuovo congresso nazionale Assoenologi da oggi a lunedì. Un titolo che vuole affrontare la sostenibilità a 360 gradi: sostenibilità nel vigneto, in cantina, dal punto di vista del consumatore, nella cooperazione, in azienda, in cucina. Ma soprattutto una sostenibilità vista con gli occhi della scienza, ovvero supportata dal metodo scientifico. Assoenologi l'affronterà con relatori illustri: da Ruggero Mazzilli (fondatore di Sopevis) al francese Nicolas Joly, considerato il guru della biodinamica, a Steve Matthiasson dalla California. Poi Oscar Farinetti ci parlerà della sostenibilità vista dal consumatore, Ruenza Santandrea della sostenibilità nella cooperazione e Renzo Cotarella della sostenibilità aziendale. Non mancherà la parte dedicata alla cucina sostenibile, con una tavola rotonda tra chef e ristoratori. Ne parliamo con Riccardo, presidente nazionale dell'associazione che conta quattromila associati.

Allora presidente, di cosa discuterete in questi tre giorni a Firenze
«Abbiamo messo al centro della nostra riflessione la scienza, le scienze. Può sembrare scontato, ma non è così per quello che vediamo e sentiamo in giro. Bisogna capire che il nostro mestier si nutre di conoscenza, non c'è spazio per gli sciamani e gli stregoni. Almeno non c'è spazioe se un produttore vuole dare alla propria azienda un percorso serio».
Scienza per fare cosa?
«Per la sostenibilità».
Il tema del momento in vari settori.
«Si ma non ci può essere sostenibilità senza scienza. Per quanti siamo ormai su questo pianeta la soluzione non è il ritorno al passato, ma l'uso consapevole della scienza, anche della chimica come della biologia, per dare risposte concrete ai nuovi problemi in agricoltura e viticoltura»
Spesso c'è un uso improprio dell termine sostenibilità.
«Noi enologi dobbiamo essere conoscenza di queste materie senza preclusioni ideologiche, questa è la sintesi del niostro punto di vista».
Qual è l'obiettivo del congresso?
«Il nostro appuntamento fiorentino è quello di approfondire i temi in maniera viscerale, di acculturamento della materia su cui lavoriamo ogni giorno. Ecco perché abbiamo chiamato esperti da tutto il mondo ad esprimere i loro temi».
Come è cambiato il mestiere di enologo negli ultimi trent'anni?
«Come tanti altri lavori, in modo radicale. All'inizio si lavorava solo in cantina nelle strutture sociali. Adesso l'enologo è anche comunicazine, saper intervenire in campagna, avere una visione del mercato e saper dare delle indicazioni anche in questa direzione. La visione dell'enolo che corregge le uve tra botti e vasche ormai è una figura oleografica del passato. Il nostro lavoro nel mondo globale viaggia a 360 gradi e chi non si è adeguato resta tagliato fuori. Oggi siamo manager comunicatori, una figura entrale in una azienda. Ci siamo dovuti reinventare».
Quasi un responsabile di produzione, insomma.
Si, ma dalla pianta alla cantina. Anzi, con i cambiamenti climatici la gestone del vigneto è diventata centrale. Saperli affrontre in modo scientifico è la vera sfida del futuro. Un enologo lavora dall'impianto all'imbottigliamento. E basa con le ideologie e le paure medioevali».
Possiamo fare un bilancio del lavoro svolto in questi anni come presidente di Assoenologi?
«Un bilancio complesso, frutto di tanta fatica e tanto impegno di tutto il Cda, da soo non avrei potuto mai fare nulla. In questi anni abbiamo aperto alla comunciazione e abbiamo cercato di agevolare questo percorso di cui abbiamo parlato. Il nostro è stato un prgoetto culturale, far capire che a nostra prfoessione è cambiata e che c'è bisogno di aggiornrsi, viaggiare, comunicare, discutere, partecipare anche e fuori dalla cantina. Dunque una visione più dinamica».
E della tendenza dei vini naturali?
«Bah, bisognerebbe capire cosa si intende per naturale. Amo ricordare che senza la mano del'uomo dal'uva si potrebbe al massimo fare l'aceto, non il vino. Mi pare una tendenza notevolmente ridimensionata, il produttore acculturato non può rivolgersi a chi è del mestiere. Chi, per farsi curare, oggi andrebbe da uno stregone e non da un medico laureato e specializzato? Mi pare così ovvio che è inutile anche ribadirlo. Poi devo dire che alcuni processi cosìdetti naturali sono quelli che davvero omologano il vino».
Una foto dell'Italia vitivinicola in questo momento
«A parte Toscana e Piemonte, rispetto al passato ci sono due fenomeni importanti. Da una parte il Veneto, vera locomotiva per l'export e non solo per il Prosecco. E poi il Sud, tutto il Sud, vera nuova frontiera sempre più interessante e appassionante».
E nel Mondo?
«Non c'è più Nuovo Mondo se parliamo di Sud Africa, Cile, Australia. Oggi è possibile fare esperienze entusiasmanti in Giappone, Romania, Israele.
Bilancio della vendemmia 2017?
Lo abbiamo detto: meno 15 milioni di ettoletri, qualità abbastanza buona. Dipende dalle zone.
Ma il clima è davvero cambiato?
Certamente, quest'anno abbiamo registrato una temperatura media di 4 gradi superiore al 2016 e perso 40/45 per cento dell'acqua piovana. Il clima sempre più bizzarro impone un approccio in vigna sempre più scientifico. Non è facile prevenire il clima.
E questo cosa comporta
«Sono favorite le uve tardive come l'Aglianico e il Nebbiolo. Questione di territori, zone meno vocatein passato ora danno grandi risultati e l'esposizione al Sud non è più necessariamente un pregio. Ripeto, sta cambiando tutto e noi possiamo stare al passo solo con la scienza, tema del nostro congresso».
 
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