Michela Andreozzi: tu chiamale se vuoi emozioni ma evita il canto delle sirene

Ognuno ha la propria playlist di canzoni e passioni non vissute, ma forse è meglio che restino così

Michela Andreozzi: tu chiamale se vuoi emozioni ma evita il canto delle sirene
di Michela Andreozzi
Mercoledì 27 Marzo 2024, 13:46 - Ultimo agg. 29 Marzo, 15:04
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Cara Michela,

ma quanto ci rimbambiscono le canzoni? Venditti cantava «Amici mai per chi si cerca come noi» ... e noi lì a dire e certo noi non saremo mai amici, ci amiamo troppo... Ma perché no? A noi invece è capitato, o meglio pensavo che fosse così. Dai, dopo tanti anni saremmo stati capaci di essere amici, o solo amici, o no? E invece no. Siamo stati insieme che eravamo giovani giovani, vent’anni più o meno, un bell’amore passionale che brucia tutto e in fretta con la spensieratezza e i drammi di quegli anni magici, poi però l’università ci ha diviso, il lavoro poi, ognuno si è fatto la propria famiglia. Ma ci conoscevamo da tempo, l’amicizia è rimasta, qualche lettera, sì un tempo si scrivevano le lettere, qualche telefonata, a volte un po’ più lunga delle altre, problemi e confessioni, un caffè o un aperitivo se capitava, fai vedere le foto dei figli? Madonna come sei invecchiato, complicità e risate. Battisti cantava «Ma che disastro io mi maledico, ho scelto te una donna per amico...». Si può fare, io la tua donna per amico. Si può fare, anche se c’è stata passione fisica, l’eco della giovinezza passata è giusta un’eco. Ma dai, siamo grandi grandi, cinquant’anni e più, altro che meno. Poi l’ho incontrato per caso in un hotel in una capitale europea, tutte e due in missione di lavoro per le rispettive aziende, ma dai, anche tu qui. A cena, un buon vino e tante risate. E allora ci si mette pure Diodato: «E ancora ti muovi, tu dentro ti muovi...». È stata una notte di passione, bellissima, Dio come sono stata bene, è stato tutto perfetto e divertente e coinvolgente. Sensi di colpa? Zero. Il mattino dopo ciao ciao, con affetto, tranquillissimi, ognuno ha ripreso la propria vita, baci, abbracci e amici come prima. Anzi no, amici mai. Maledetto Venditti. E adesso? Adesso niente, lavoro e famiglia, ma purtroppo mi ritrovo a cantare con Annalisa «quando quando quando.....sinceramente tua»... ma in fondo va bene così, dai. E tu che dici? Quanto ci rimbabiscono le canzoni?

Raffaella da Verona 

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Cara amica,

credo che le canzoni ci rimbambiscano tanto quanto le facciamo entrare nelle nostre emozioni, che forse, nulla potendo controllare davvero della nostra vita, è tutto ciò su cui abbiamo una qualche forma di potere. Agiamo, reagiamo, sentiamo e poi possiamo decidere se seguirle o meno, ‘ste emozioni, se ascoltarle, se dar seguito al loro canto da sirene. Per me, da un po’ di tempo, le emozioni sono una bussola. Sarà che in terapia mi hanno insegnato a dare un nome a ciò che sento, ma soprattutto a considerarle per quello che sono: qualcosa che è parte di me, e non qualcosa a cui appartengo.
So che si torna sempre lì, all’educazione sentimentale, ma è quello che ci è mancato, cara compagna di generazione X, tanto che oggi ci aggrappiamo a tutto ciò che ci fa vibrare perché ci sembra vivo.

E invece tutto è vivo, non solo il futuro che non ti aspetti, ma anche le zone oscure lungo la strada dei matrimoni polverosi, anche le relazioni mai risolte con i genitori, anche il passato archiviato e incasellato. E il presente con i suoi imprevisti: mi piace che non ti giudichi, ma affronti la tua ultima esperienza con tenerezza e un pizzico di giovanile incoscienza. E giustamente ne vorresti ancora.

Ancora una canzone. Alla fine, le canzoni servono a dare un nome alle emozioni. Il mio primo amore è stato Against all odds di Phil Collins, ma non era poi così contrastato, a parte il fatto che lui era un rissoso Lucignolo e io Pollyanna. Venditti ha messo in musica il mio secondo amore con Ricordati di me nel momento in cui lo lasciavo per il terzo, che fu tutto un De Gregori. Ebbi poi Oro di Mango; un intero disco perché mi misi con un musicista, un paio di storie senza musica, Somebody dei Depeche Mode poi compilation anni 2000 fino a Don’t give up di Peter Gabriel. Ma ho scoperto che molti di questi brani, che pensavo di condividere con l’altro, li ho scelti e li ricordo solo io. È la stessa cosa con queste esperienze: a volte ne custodiamo il desiderio e la memoria in totale solitudine, senza chiederci se l’altro ha sentito la stessa musica. Tutti abbiamo conti in sospeso con passioni mai vissute che chiedono di essere considerate. Ma che forse devono restare tali. Come a dire che ci sono incontri che appartengono ad un tempo che non c’è più e che qualche volta trovano uno spazio, ma poi devono restarci. Una volta si diceva: quel che accade fuori dal raccordo resta fuori dal raccordo.

Trasformare un incontro in una abitudine, un’ombra in un profilo, un desiderio in realtà qualche volta è rischioso. Come quei musicisti che costruiscono un album intero su un solo singolo di successo. Hai una vita, una famiglia, una struttura che se da una parte è diventata routine, dall’altra ti dà certamente una stabilità che non mi pare tu abbia messo in discussione. Sei libera di continuare a ballare, ma penso che se la nostra energia rischia di ferire qualcuno non è pulita. «Ancora una canzone» è una richiesta comprensibile, se ti fa sentire bene. Ma fa altrettanto bene alla tua vita? Forse il problema è che balliamo solo nelle grandi occasioni. Prova a conservare questa hit nella playlist dei ricordi speciali ma intanto rispolvera la compilation che senti ogni giorno. E danza, celebrando la tua vita, come se non ti vedesse nessuno.

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