Castellammare: ex killer laureato con 110 e lode, la tesi acquisita dell'Antimafia

Charlie Barnao, il professore che lo ha seguito: «Catello Romano è uno studente brillante»

Catello Romano
Catello Romano
di Dario Sautto
Giovedì 5 Ottobre 2023, 23:31 - Ultimo agg. 6 Ottobre, 20:03
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«Il nostro obiettivo è quello di garantire il diritto allo studio per i detenuti. Ovviamente non escludo che Catello Romano, alla fine di questo percorso, possa esserne uscito migliorato, se non addirittura rieducato come prevederebbe in generale la detenzione in carcere. Lo spero, anche perché è uno studente brillante». Charlie Barnao è il professore dell’Università di Catanzaro che ha seguito l’elaborazione della tesi con la quale si è laureato con lode in Sociologia Catello Romano, 32enne di Castellammare, che sta scontando condanne definitive per omicidi di camorra, tra cui quello del consigliere comunale Pd Gino Tommasino, ucciso in strada il 3 febbraio 2009.

Nella sua tesi sulla «Fascinazione criminale» Romano ha ricostruito il percorso che l’ha portato ad abbandonare i valori positivi, affiliandosi appena maggiorenne al clan D’Alessandro, fino ad entrare nel commando di killer con il quale ha partecipato ad almeno quattro agguati. Due di questi - il duplice omicidio di Carmine D’Antuono e dell’innocente Federico Donnarumma e l’omicidio di Nunzio Mascolo, avvenuti nel 2008 - restano casi irrisolti, «cold case» per i quali Romano ha praticamente confessato in tesi la sua partecipazione.

L’omicidio di D’Antuono e Donnarumma fu anche il suo battesimo del sangue. Il suo elaborato, giudicato con il massimo dei voti e menzione accademica, sarà pubblicato nei prossimi mesi.

Nel frattempo, la Direzione distrettuale Antimafia di Napoli ha già chiesto l’acquisizione della tesi, in cui Romano definisce in particolare quel duplice omicidio «l’evento più violento, traumatico, irrimediabile della mia vita» e scrive che «Donnarumma non doveva essere ucciso. Non so perché, non l’ho capito e non me ne capacito ancora, ma sparai anche a lui». Una tesi in cui fa un parallelo tra due figure a cui si ispirò: il «professore di Vesuviano», Raffaele Cutolo del film «Il camorrista» e il suo padrino camorristico Renato Cavaliere, oggi collaboratore di giustizia.

Professor Barnao, dopo questa tesi Catello Romano può essere definito un detenuto rieducato? 
«Questo non posso dirlo. Ho seguito il suo percorso di studi negli ultimi sei anni ed è un eccellente studente, che in questo suo elaborato ha affrontato un percorso auto etnografico. Una indagine sociologica e antropologica, in cui racconta una parte superata del suo percorso di vita». 

Cosa racconta in particolare?
«Lui analizza il suo percorso criminale, come abbia scalzato i suoi modelli familiari positivi che erano la madre, il nonno e il suo maestro di taekwondo, scegliendo il Cutolo del film e un camorrista locale come guide. Due figure che hanno esercitato una forte fascinazione nei suoi confronti. Romano ha spiegato anche cosa rappresentava per lui in quel momento il mondo criminale, facendo conoscere all’esterno qualcosa che lui ha vissuto da protagonista».

Voleva anche confessare quei delitti irrisolti? 
«Questo tipo di percorso sociologico, che in maniera più alta è stato affrontato anche da Sant’Agostino nelle sue Confessioni, di certo non aveva questo obiettivo. È un semplice racconto di qualcosa difficilmente comprensibile dall’esterno». 

Di cosa si tratta? 
«Di come la criminalità riesca ad esercitare un notevole fascino su ragazzi come Catello Romano, che provengono da ambienti marginalizzati. Lì il clan è un’istituzione totale, sostituisce anche la famiglia d’origine e, una volta entrati, difficilmente si riesce ad uscirne. Ha raccontato quel suo periodo di vita, ma per farlo era importante riportare degli episodi concreti che l’hanno segnato». 

Oggi chi è Catello Romano?
«Quello che ho conosciuto è uno studente capace, con ottime qualità, che ha concluso un percorso ineccepibile di studi e che è stato molto coraggioso nella scrittura della sua tesi. Analizzare e raccontare quegli episodi di sofferenza procurata agli altri e vissuta sulla sua pelle, riviverli, può essere considerato già qualcosa di curativo».

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