Sant'Antonio Abate, Castello delle cerimonie, timori per 200 famiglie dopo confisca

L'immobile abusivo o deve essere demolito o utilizzato a scopi di pubblica utilità

Castello delle cerimonie, timori per 200 famiglie dopo confisca
Castello delle cerimonie, timori per 200 famiglie dopo confisca
Venerdì 16 Febbraio 2024, 17:26 - Ultimo agg. 20:59
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Oltre 200 famiglie temono per il proprio futuro dopo la confisca del "Castello delle Cerimonie", l'hotel-ristorante reso celebre dalle trasmissioni di RealTime e che rappresenta per Sant'Antonio Abate un importante fonte di reddito e di occupazione.

Vi lavorano un centinaio di dipendenti, tra stagionali e fissi. La media è di una quarantina di addetti fissi e una settantina stagionali ai quali vanno aggiunti gli operatori dell'indotto. Intorno alle cerimonie del Grand Hotel abatese, anche conosciuto come "La Sonrisa", ruotano tra i 100 e i 150 lavoratori dell'indotto.

In totale sarebbero quindi oltre 200 le famiglie che rischiano ripercussioni occupazionali.

Essendo stato affidato al Comune, secondo la legge, l'immobile abusivo può avere solo due destinazioni possibili: o essere totalmente demolito o essere utilizzato ma solo a scopi di pubblica utilità. Pertanto è questo il dilemma che deve affrontare il sindaco di Sant'Antonio Abate, Ilaria Abagnale.

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«È un verdetto inatteso che ci colpisce molto - commenta il sindaco - poiché si tratta di una struttura ricettiva importante per il nostro territorio, che da anni offre lavoro a centinaia di famiglie. Al momento non ci è stato notificato nulla, daremo seguito alla sentenza e avvieremo sicuramente un'interlocuzione con le autorità preposte per gestire al meglio la situazione» conclude Abagnale.

Il prossimo step, dunque, per il "Castello delle Cerimonie", sarà un incontro tra il primo cittadino di Sant'Antonio Abate e il prefetto di Napoli, insieme con i vertici della Procura. L'obiettivo, a quanto trapela, sarebbe quello di non privare il territorio dell'azienda ricettiva. Ma ciò implicherebbe l'assegnazione della sua gestione a privati, mediante un bando pubblico che escluderebbe eventuali ingerenze o presenze di attuali titolari o gestori appartenenti alla famiglia. Dalla struttura, infine, il Comune dovrebbe ricavare un fitto che andrebbe a scopi di pubblica utilità. 

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