Don Mimmo Battaglia a Napoli, porte aperte e solidarietà: «Sarò vescovo di strada»

Don Mimmo Battaglia a Napoli, porte aperte e solidarietà: «Sarò vescovo di strada»
di Antonio Mattone
Sabato 30 Gennaio 2021, 11:30 - Ultimo agg. 11:36
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Una delle prime preoccupazioni è stata quella di non poter andare in giro senza autista. Don Mimmo, come ama farsi chiamare il nuovo arcivescovo di Napoli che il prossimo due febbraio farà l'ingresso in città, fa emergere così lo stile che lo contraddistingue e che segnerà il suo ministero episcopale. Camminiamo insieme, è la frase che cita spesso nei suoi discorsi e che ripete ai suoi collaboratori. Una prospettiva di una chiesa sinodale, in uscita verso le periferie geografiche ed esistenziali e attenta alle vecchie e nuove povertà, che ha nella pastorale integrata tra i diversi settori della diocesi la sua linea strategica.

È un prete della chiesa di Papa Francesco don Mimmo Battaglia, restio a rimanere chiuso tra le mura della curia, sarà facile incrociarlo nei vicoli e in giro per le case ad incontrare persone.

D'altra parte, lo stesso Bergoglio si muoveva a Buenos Aires con i mezzi pubblici, ed era frequente incontrarlo in metropolitana o in autobus quando andava alla Villa 21, una baraccopoli sorta nei dintorni della capitale argentina per confessare ed ascoltare i problemi concreti della povera gente. Molti lo hanno definito un vescovo di strada, ma in realtà Battaglia è un uomo di preghiera e di grande spiritualità. È il vescovo delle carezze e della tenerezza. Negli anni trascorsi alla guida della diocesi di Cerreto Sannita-Telese-Sant'Agata de' Goti, come in quelli precedenti in cui era sacerdote a Catanzaro, le sue mani hanno asciugato tante lacrime, i suoi occhi hanno incrociato tanti sguardi, le sue parole hanno toccato le profondità di tante anime. Il suo motto episcopale Coraggio, alzati, ti chiama!, si rifà ad un episodio raccontato nel vangelo di Matteo, e rivela la sua premura per i poveri. Infatti, nel brano evangelico un mendicante cieco di nome Bartimeo appena si accorge che stava passando Gesù urla a gran voce per chiedere la guarigione, ma viene rimproverato dai discepoli. 

Gesù, invece, intenerito dalla sua richiesta lo manda a chiamare e gli fa recuperare la vista. I poveri per don Mimmo non sono degli individui fastidiosi da tenere a distanza, né dei casi sociali da seguire, ma dei volti e dei nomi da incontrare e curare. Le frequenti visite al carcere minorile di Airola, dove è andato anche durante la pandemia per celebrare la liturgia della lavanda dei piedi, così come l'incontro con le donne vittime di violenza a cui ha destinato un luogo protetto in cui trovare rifugio e sostegno, sono alcuni segni concreti di questa attenzione. Preoccupato per la mancanza di lavoro, ha fatto nascere una cooperativa sociale di comunità che permette ai giovani di sviluppare competenze professionali investendo nel proprio territorio, trasformando così la fragilità in opportunità. Don Mimmo Battaglia ha dato alla curia di Cerreto un volto giovane e laico.

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Ama la convivialità e le relazioni dirette, senza filtri, ma non è un accentratore: «Meglio molte persone che fanno poche cose piuttosto che pochi caricati di un grande lavoro» è solito dire. Capita spesso che trovandosi in giro telefoni al parroco della zona e gli dica: «Oggi vengo a pranzo da te», un modo per incontrare i suoi preti e per parlare con loro dei problemi in modo informale e familiare. E i sacerdoti hanno ricambiato le sue attenzioni. Lo hanno seguito quella volta che, per delle controversie sorte sullo svolgimento della festa patronale di un paese, dopo l'apparizione di un manifesto anonimo contro il parroco, si recò con tutti i preti della forania nella parrocchia del confratello per manifestare solidarietà e celebrare la messa.

E non si sono tirati indietro quando ha chiesto loro di dare un contributo economico per sostenere alcune persone che durante la pandemia erano andate in difficoltà. Il documento Una chiesa povera per i poveri, redatto nel giugno 2019, descrive invece le linee su cui il clero dovrebbe orientare le scelte di vita personali e comunitarie per la gestione dei beni che amministra la chiesa, che «non tiene nulla per sé ma vive la povertà evangelica attraverso la condivisione dei beni». La sua figura avrà un grande peso, perché rappresenterà la chiesa del Mezzogiorno, in un'Italia così divisa culturalmente e socialmente tra Nord e Sud. È atteso con grande speranza ma anche con qualche scetticismo per la sua inesperienza a guidare una grande diocesi come Napoli. Tuttavia il suo entusiasmo e il suo impegno per fare rete e mettere insieme tutte quelle esperienze belle e positive che esistono nella realtà napoletana, saranno determinanti per rilanciare il nostro territorio. E siamo certi che la sua azione pastorale desterà numerose sorprese. Napoli ha un cuore che deve tornare a battere e come il cieco Bartimeo deve recuperare una visione, rialzarsi e prendere la strada di nuovi orizzonti. 

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